Riforme, Ncd quasi imploso, campagna acquisti in Senato

Nessuno ormai lo nega più in casa dem. Sul destino delle riforme, così come sul futuro della stessa legislatura, c’è un’ombra pesante all’orizzonte: il rischio implosione del Nuovo centrodestra, da mesi in equilibrio precario tra tentazioni di convergenze in salsa dem e spinte per un ritorno sotto l’egida di Arcore e del centrodestra. Tormenti e insofferenze che, al di là delle smentite di Alfano e della componente più governista, sono tutt’altro che un segreto tra i corridoi parlamentari. E che lo stesso ministro dell’Interno fatica ormai a controllare. Soprattutto a Palazzo Madama, dove i numeri della maggioranza sono già (a dir poco) risicati. E dove Matteo Renzi è già costretto a fronteggiare la resistenza dei 25 senatori della minoranza Pd.  Una fronda, quella di Gotor, Chiti, Corsini &  Co, che insiste per il Senato elettivo e la modifica dell’articolo 2, intoccabile invece per il presidente del Consiglio.

Renzi Alfano
(Ansa)

RIFORME, SCOUTING IN CORSO PER BLINDARE IL DDL BOSCHI DI FRONTE AI TORMENTI DI NCD. IN ATTESA DELLE DECISIONI DI GRASSO… –

Se Alfano si sente “coperto” in ottica futura dal premier, rassicurato con la prospettiva di una decina di posti in lista per lui e i suoi fedelissimi, è il resto della truppa parlamentare degli ex diversamente berlusconiani a temere di venire scaricata al momento opportuno dall’ex delfino del Cav. Sacrificata, sull’altare della realpolitik e della convenienza politica. Non è un caso che, tra riunioni carbonare e messaggi più o meno espliciti, l’avvertimento sia stato lanciato allo stesso Alfano. Senza garanzie per tutti, allora neanche il percorso delle riforme sarà privo di ostacoli. «Inutile negarlo, almeno dieci senatori Ncd minacciano di non votare il disegno di legge Boschi», ha confermato a Giornalettismo un senatore di stretta osservanza renziana. Tradotto, anche il salvagente organizzato dall’ex plenipotenziario di Forza Italia, Denis Verdini, rischia di non essere sufficiente per blindare il ddl. Non è un caso che la “campagna acquisti”, lo scouting tra partiti e singoli senatori, sia iniziato da tempo a Palazzo Madama, in attesa che le riforme vengano calendarizzate. Un “corteggiamento” trasversale. Dalle microcomponenti di Idv e Verdi, passando per pezzi di Fi, fino al Misto e anche al gruppo di Conservatori e Riformisti di Raffaele Fitto, sono il sottosegretario Luca Lotti e lo stesso Verdini, oltre che singoli emissari renziani, a portare avanti il tentativo di allargare i numeri della maggioranza sulle riforme costituzionali. Altrimenti, ne è consapevole Renzi, un incidente tra gli alleati del Nuovo centrodestra, in piena erosione, rischia di trascinare tutto il governo nel pantano. Soprattutto se il presidente del Senato Pietro Grasso deciderà di accettare tutti gli emendamenti al famoso articolo 2 del ddl Boschi. Ovvero, quello che sostituisce l’art. 57 della Costituzione sulla composizione del Senato e che la minoranza Pd vorrebbe modificare per reinserire l’elezione diretta dei senatori. Un “incubo” che il premier non vuole nemmeno immaginare.

RIFORME, PRESSING SU GRASSO E BATTAGLIA SUI REGOLAMENTI –

«Non è possibile, sarebbe come tornare al punto di partenza e stravolgere tutto l’impianto», ripetono in Senato i fedelissimi del premier. Parole confermate anche dalla stessa presidente della commissione Affari Costituzionali Anna Finocchiaro, schierata in piena difesa delle riforme renziane, quando ha spiegato come le uniche modifiche possibili fossero quelle sui poteri del Senato, ma senza rimettere in discussione i centrali articolo 1 e 2 già approvati in “doppia conforme“. Pena il rischio di affossare tutto il Ddl Boschi. 

Per questo in casa renziana sperano che alla fine la seconda carica dello Stato eviti il rischio di un conflitto istituzionale con Finocchiaro. E decida di dare il via libera a soli due voti: quello per correggere il comma 5 modificato a Montecitorio, seppur in modo quasi impercettibile («La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti», al posto di «nei quali sono stati eletti», ndr). E quello per il voto finale sull’articolo. Ritenendo invece non ammissibili tutti gli altri emendamenti. Una scelta che toglierebbe tutti dall’imbarazzo: non solo la maggioranza, ma anche la parte più dialogante della minoranza dem. Quella che accetterebbe senza troppi problemi il compromesso sul listino dei consiglieri regionali (fuori dal contesto dell’articolo 2) al contrario bocciato dai dissidenti più oltranzisti. E che cerca una via d’uscita per “salvare la faccia” e allo stesso tempo evitare qualsiasi rischio di venire trascinata alle urne. Tradotto, tutto resta nelle mani della seconda carica dello Stato, anche se Grasso ha già chiarito che una decisione arriverà soltanto quando il testo approderà in Aula. Il motivo? Chiaro che Grasso pretenda che si trovi prima un accordo politico tra renziani e bersaniani. E che non sia invece lui a doversi prendere ogni responsabilità della decisione.

RIFORME, I TORMENTI IN CASA NCD –

Sullo sfondo, però, restano i malumori interni a Ncd, dove è soprattutto la parte dei senatori calabresi, lucani e campani, da Antonio Gentile a Viceconte passando per Giuseppe Esposito, a rumoreggiare. «Un pezzo di Ncd si sfascia sulle riforme? Ma no, vedrete che saremo compatti sui numeri. Il listino è un buon compromesso, il resto sono soltanto retroscena inesistenti», prova a smentire a Giornalettismo Renato Schifani, uno di quelli che fatica ad accettare la deriva troppo filo-renziana di Ncd. Così come Luigi Compagna che prova a nascondere l’insofferenza interna al gruppo per il limbo nel quale è sospeso il partito, ma neanche troppo: «Certo che dobbiamo decidere cosa fare da grandi, ma questo dovrebbe chiederlo ai vertici…», ha spiegato, precisando come il suo orizzonte naturale resti quello del centrodestra. Senza dimenticare i malumori di altri senatori come Formigoni, tutt’altro che disposti a “morire renziani”. Al contrario c’è anche chi è convinto che «quella strada non sia più percorribile e che serva invece essere autosufficienti». Per costruire quel polo moderato in piena convergenza con Renzi. Certo, ad aumentare le distanze e le frizioni interne alla maggioranza c’è anche l’altro nodo delle Unioni Civili. Anche perché, contestano sia dentro Ncd che in casa dem, «l’atteggiamento della relatrice Cirinnà, poco costruttivo e dialogante, non aiuta di certo». Ma quel provvedimento, è stato già chiarito, non fa parte dell’accordo di governo. Tradotto, non dovrebbe mettere a rischio la tenuta della maggioranza. 

RIFORME, CORTEGGIAMENTI IN CORSO, DA FITTO A FI, FINO A IDV E VERDI –

Al contrario sulle riforme, lo ha più volte ribadito Renzi, si gioca il futuro della stessa legislatura. Se vengono affossate in Aula, non c’è altra strada che tornare alle urne, ha più volte “minacciato” il premier. Anche se tra le opposizioni c’è la convinzione che si tratti di un’arma scarica, considerati i numeri in flessione del Partito democratico. Di certo, con Grasso che deve ancora decidere sull’articolo 2 e parte della minoranza convinta che «sia cambiato poco o nulla» dopo il discorso di Renzi ai senatori e che non ci siano state reali aperture, il premier avrebbe bisogno di numeri compatti dentro Ncd per evitare qualsiasi rischio. Invece, con la decina o anche più di senatori insofferenti in casa di Alfano, il rischio di “scivolare” in Aula c’è per la maggioranza. Per questo, l’ordine partito resta quello di provare ad allargare i numeri.

A destra sono Verdini e i suoi senatori a portare avanti il corteggiamento sui singoli senatori, sfruttando anche la faida interna al gruppo di Alfano per allargare la stessa neo componente di Ala, stampella del governo«Le telefonate arrivano, eccome», confermano in casa Ncd. Con i verdiniani che promettono “garanzie” sul futuro. E che cercano di allungare una legislatura che nessuno, in realtà, vorrebbe veder precipitare. Sia per non perdere le poltrone, quanto perché nessun partito si sente pronto, Forza Italia in primis. «Come voteremo? Vediamo se Renzi concede qualche apertura…», confermano alcuni senatori azzurri, a conferma che il gruppo è tutt’altro che compatto nel “no” sbandierato da Berlusconi. Di certo, al di là delle smentite, in casa renziana confidano quantomeno «nelle assenze strategiche dentro Fi, come successo spesso in passato, se non in qualche voto» in soccorso. Perché «Berlusconi non può rischiare di essere portato al voto, ora che la Lega è la prima forza del centrodestra», spiegano in Senato. Ma il clima di corteggiamento arriva fino al gruppo di Fitto, quello che, in opposizione al patto del Nazareno, si era spinto fino alla rottura con il Cav. «Come votiamo? Vediamo, abbiamo presentato una serie di emendamenti, dal tetto fiscale, alle modalità di elezione del presidente della Repubblica, alla perequazione infrastrutturale tra Nord e Sud. Noi discutiamo sul merito: vediamo quale sarà l’atteggiamento di Renzi», spiegano i fittiani. Senza escludere, chi con maggiore enfasi, chi cercando di nicchiare, un voto positivo sulle riforme renziane. Anche perché, si riflette dentro il gruppo dei Cor, «anche Fitto ha bisogno di tempo».

Tradotto, per una Ncd che rischia di sciogliersi, dentro il Parlamento si preparano altri salvagenti per il governo. Anche tra le vecchie forze di centrosinistra, Idv e Verdi. Con la prima componente già risorta con gli ex 5 Stelle Romani e Bencini, pronti a sostenere il Ddl Boschi. E i contatti in corso tra i renziani e la componente ecologista, rinata con gli altri ex della galassia pentastellata De Pin e Pepe. Tutti “arruolabili“, pur di blindare le riforme. Ed evitare rischi dall’implosione in corso in casa Ncd.

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