Report: «Gucci dovrebbe ringraziarci anziché dissociarsi»

Report risponde sul Corriere della Sera a Gucci che aveva accusato la trasmissione di Raitre di aver mandato in onda domenica un servizio diffamatorio in cui veniva denunciato l’uso di manodopera a basso costo e l’inefficacia dei controlli dell’azienda circa il rispetto delle regole di responsabilità sociale«Più che dissociarsi Gucci dovrebbe ringraziarci, per aver documentato e denunciato quello che avrebbero dovuto fare i loro ispettori». La querelle tra la trasmissione e la maison di moda italiana ma di proprietà francese si arricchisce di una nuova puntata.

Report: «Gucci dovrebbe ringraziarci anziché dissociarsi»

REPORT-GUCCI, UN RIASSUNTO – Domenica sera è andato in onda un servizio realizzato da Stefania Giannini in cui un artigiano pellettiere, Aroldo Guidotti, terzista per conto di Gucci, riceve ventiquattro euro per una borsa. Con queste cifre, ha proseguito Report, si arriva al licenziamento della manodopera italiana sostituita da quella cinese, assunta con contratti part-time ma che lavorano a tempo pieno con pagamento a cottimo. Nel pezzo poi si denuncia come l’azienda invii nei laboratori che producono pezzi per la griffe ispettori che certificano il rispetto delle regole di responsabilità sociale. Questi controlli non avverrebbero negli orari più critici come le nove di sera, quando si lavora come di giorno (e si dovrebbe stare chiusi). Gucci ha risposto così:

Gucci si dissocia nel modo più assoluto dai contenuti e dalla forma del servizio mandato in onda domenica 21 dicembre nell’ambito della trasmissione Report. La signora Gabanelli non ha mai posto a Gucci alcuna domanda pertinente su quanto da cinque mesi stava girando. Telecamere nascoste o utilizzate in maniera inappropriata, solo in aziende selezionate ad arte da Report (3 laboratori su 576), non sono testimonianza della realtà Gucci. Il servizio ha accusato Gucci di consigliare l’utilizzo di “forza lavoro cinese a basso costo”. Tutto ciò è falso e destituito di ogni fondamento e fortemente diffamatorio. Così come lo è la frase del servizio : “….. all’interno dell’azienda …ci deve essere un prestanome italiano…”. Accordarsi a insaputa di Gucci con laboratori che utilizzano manodopera cinese a basso costo e non in regola – sabotando i sistemi di controllo in essere – è una truffa dalla quale Gucci si dissocia e che perseguirà in tutte le sedi.

 

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«UNA DICHIARAZIONE LESIVA» – Report risponde all’azienda spiegando che la dichiarazione dell’azienda:

accordarsi a insaputa di Gucci con laboratori che utilizzano manodopera cinese a basso costo e non in regola – sabotando i sistemi di controllo in essere

rappresenta una «gravissima e lesiva della libertà di espressione e di denuncia» da parte dell’azienda.

«È uno stravolgimento della realtà visto che Report non ha affatto “sabotato” ma “osservato” il metodo delle ispezioni “farsa”. Noi abbiamo fatto solo il nostro mestiere. La truffa semmai è ai danni degli artigiani, del Made in Italy, della legalità e dei clienti. Forse non hanno compreso che la SA8000 (la certificazione di responsabilità sociale di cui si fregiano) deve decidere se continuare a certificarli. Che sia un marchio del lusso a mettere in seria discussione la validità della SA8000 è paradossale (ricordiamo che la Nike fu scoperta a far cucire palloni da bambini, ma costavano un dollaro).»

LE DOMANDE DI MILENA GABANELLI – Report continua chiedendosi cosa significa l’espressione «laboratori selezionati» visto che gli stessi sono stati monitorati per mesi. Non solo, la redazione prosegue spiegando che uno dei suddetti laboratori è subfornitore di una società, la Garpe, di proprietà di Gucci:

«quindi non può neppur dire che la colpa è dei fornitori di primo livello (anche perché la certificazione gli impone verifiche). Inoltre se per Gucci è davvero tutto normale”, spieghi perché non vuole che le aziende subfornitrici siano intestate a persone di nazionalità cinese. Inoltre se per Gucci è davvero tutto normale”, spieghi perché non vuole che le aziende subfornitrici siano intestate a persone di nazionalità cinese».

LE QUESTIONI INEVASE – Per quanto riguarda la questione dei controlli, Report conferma di aver inviato a Gucci una richiesta scritta d’intervista. L’azienda ha però preferito declinare. Milena Gabanelli specifica poi di aver rivolto una domanda «pertinente», per iscritto, su «quanto ammonta il Made in Italy che viene fatturato in Italia e quanto esportato alla Luxury Goods (Svizzera) o comunque all’estero». La Gabanelli riporta la risposta dell’azienda: «Il dato non è pubblico», aggiungendo:

Certo è meglio che non si sappia fino a che punto convenga all’Italia essere una “colonia” francese che non deve andare in Cina per produrre a basso costo il prestigioso “Made in Italy” grazie ai mancati controlli e ai prezzi sotto il limite che stanno riducendo alla fame i “maestri artigiani”, come li pubblicizza Gucci.

PRONTI AL PROCESSO? – Report concluse sapendo di essere pronta ad una difesa anche in un eventuale processo che potrebbe stabilire delle verità inaspettate: «abbiamo ore di registrato e molti più esempi di quanti mostrati (noi abbiamo anche limiti di tempo per la messa in onda) che mettiamo a disposizione della magistratura qualora si attivasse per accertare le responsabilità di un sistema illegale che origina dalla manodopera sottopagata e che, ricordiamo, una sentenza storica a Forlì estese ai committenti dei cinesi».

(Photocredit Rai-Report)

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