La Rai e il calcio, un disastro tira l’altro

05/02/2015 di Boris Sollazzo

Ora, sparare sulla Rai, come direbbe Di Battista su Gasparri, è come sparare sulla Croce Rossa. Diventa addirittura vergognosamente facile nel momento in cui si parla di servizio pubblico e calcio. A quel punto è come parlare, che so, di Belen Rodriguez e social network. Si rischia di cadere nello stereotipo, nel già detto, in una stroncatura pleonastica per l’evidenza chiara a ogni spettatore.

Ma qualcuno deve pur dirlo, o almeno ribadirlo. Nonostante sia “solo” la Coppa Italia e pur non essendo Napoli-Inter un match che passerà alla storia di questo sport, si deve a questo spettacolo che tanti amano un rispetto minimo. Non si pretende la dozzina di telecamere Sky, con la straordinaria qualità visiva e di regia inversamente proporzionale a quella di chi commenta, soprattutto nel dopopartita. E neanche il livello di Mediaset Premium con la buona qualità delle analisi inversamente proporzionali al valore delle immagini. No, in fondo sono pay tv che si fan pagare più o meno profumatamente. Certo, in proporzione parliamo comunque di canoni pari a 2 o 4 volte quello della Rai. Il problema è che, soprattutto nel calcio, la differenza è di 20 o 40 volte tra il servizio pubblico e le tv a pagamento.

Cosa è successo nell’ultimo quarto di finale di Coppa Italia giocato al San Paolo? Di tutto. A parte il Cerqueti che si ostina a dare “scions” (alcuni abili esperti di lingue antiche sostengono intenda pronunciare la parola “chance”), ma chi siamo noi per rimproverarlo? In fondo Piccinini, grande maestro negli anni ’80 e ’90, ci obbliga da anni al reiterato e ossessivo utilizzo dei termini “sciabolata” (morbida, tesa, etc) o “mucchio selvaggio”. Per non parlare di Caressa, ormai meritevole di un dizionario a parte. Non possono essere tutti Pierluigi Pardo, ok, ma almeno Alberto Rimedio basterebbe, professionale ed efficace. Il migliore, poi, la Rai lo ha in radio, Francesco Repice, ma lo tengono lì. Trascuriamo poi analisi tecniche o tattiche di dubbio valore.

E lasciamo perdere anche la partigianeria che sfocia nel razzismo, come lo scorso 3 maggio, in cui anche per il servizio pubblico indossare una brutta maglietta e parlare con un calciatore (mentre il ds Pradé faceva lo stesso con gli ultrà viola, ma nessuno nella redazione sportiva della Rai se ne accorgeva) era più grave di una sparatoria. Solo per la napoletanità di vittima e “carogna”, vien da pensare se si vuol esser cattivi. O forse solo per incompetenza, chissà.

No, ieri è stata solo una delle tante serate di ordinaria approssimazione. La Supercoppa ci aveva illuso, sembrava che stesse iniziando una lenta risalita. E invece, niente. Non vogliamo soffermarci sullo scambio di giocatori, in fondo anche il mitico Pizzul, straordinario telecronista, proprio in una semifinale di Coppa Italia, era sempre un Napoli-Inter, urlò Caio-Caio-Caio in occasione del gol dei partenopei. Ma era Beto. L’unica cosa che legava i due era la maglia azzurra e la nazionalità brasiliana. Il primo era caucasico, il secondo di colore. Dev’essere, quindi, un vezzo Rai, anche divertente.

Ma se metti le sovrimpressioni proprio dove stanno giocando la palla, vuoi torturare il telespettatore. Se poi tu, regista, su tiro di Marek Hamsik respinto, per una folle infatuazione per il centrocampista slovacco decidi di staccare dal tap in fallito di Higuain per inquadrarne viso e cresta, sei quasi da codice penale (il regista non è Rai, è un appalto esterno: ma chi trasmette è responsabile della qualità di ciò che mette davanti ai nostri occhi, può sempre rinunciare alla manifestazione). Chi guarda sa che non è gol solo dall’audio: 50.000 “noooooo” sono inequivocabili. Se poi, ti perdi o quasi anche il fallo laterale che diventerà poi il gol del vantaggio – Mancini ha dato del pollo a Ranocchia, per lo stesso motivo – allora vuoi proprio che nessuno più veda neanche il Torneo di Viareggio sui tuoi canali.

Forse un tempo, avendo solo la Rai, eravamo più buoni. In effetti molti di noi, appena TeleMonteCarlo con l’accoppiata dei sogni Caputi-Bulgarelli, offrì una proposta diversa, si gettarono oltre la staccionata pubblica. Però il ricordo è quello di redazioni e registi e operatori ben più preparati e attenti. Per non parlare dei telecronisti, allora magari troppo classici, ma con una loro personalità e ora invece sempre più piatti, noiosi, incapaci di guizzi – in cui magari altri eccedono – e di un cambio di ritmo.

E per questa volta non parleremo di Zona 11 Post Meridiem, perché, appunto, non ci piace sparare sulla croce rossa. Vi diciamo solo che tra le notizie in grafica dopo mezzanotte è comparso il seguente lancio “Coppa Italia: la polizia ha bloccato 70 ultrà azzurri. Avevano coltelli e aste”. Era un pullman di tifosi interisti. Nerazzurri. I napoletani erano due e in un altro contesto. Peraltro senza aste. E se due indizi fanno una prova…
Anzi chiudiamo con una delle poche note positive, dicendovi che Antinelli, pur incapace di decifrare adeguatamente la serata della scorsa finale di Coppa Italia, è un’altra camminata. Ma è troppo poco per costringersi a guardare il calcio sulla Rai. A meno che non si sia ostaggi della propria fede calcistica.

P.S.: Ciliegina sulla torta, come si apprende da un comunicato della Società Sportiva Calcio Napoli: Rai e Infront non hanno trasmesso sul canale International del servizio pubblico Napoli-Inter in Usa. Così, perché il nostro calcio ha bisogno di cercare nuovi mercati, sponsor e investitori e quindi ce lo teniamo gelosamente per noi. Giustissimo. Infront servirebbe, peraltro, proprio per venderlo televisivamente all’estero. Complimenti.

Share this article