Raffaella Presta, il selfie con il volto tumefatto spedito otto giorni prima di essere uccisa

Un grido d’aiuto, una disperata richiesta di soccorso. Raffaella Presta, otto giorni prima di morire in casa sua a Perugia per mano del marito Francesco Rosi, aveva spedito un selfie al fratello e a un’amica via WhatsApp: «Guardate cosa mi ha fatto…Incidente domestico, diciamo» scriveva il 17 novembre l’avvocatessa penalista, 40 anni, mostrando il volto tumefatto, pieno di lividi. Il messaggio è arrivato ma non è stato colto fino in fondo e non ha cambiato il destino tragico di una donna vessata da un compagno troppo geloso e armato: il 25 novembre due colpi di fucile, di cui uno alle spalle, la raggiungono dopo l’ennesima lite e le sono fatali. L’autopsia riporta anche la rottura di un timpano frutto di un vecchio pestaggio, a testimoniare come le violenze andavano avanti da parecchio. L’uomo è stato arrestato per omicidio e al momento ci si interroga sulla premeditazione. aggressione violenza ragazza 2

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Il Corriere della Sera riporta la deposizione del marito, tutta da verificare:

Se ha sparato, ha affermato nell’interrogatorio, è perché ha avuto una specie di «black-out» nel corso dell’ennesima lite maturata in un rapporto che si era trascinato oltre una fine naturale dettata dalla scomparsa dei sentimenti. Le carte giudiziarie raccontano di un’altra relazione avviata da lei, del pensiero insopportabile che Raffaella […] lo volesse lasciare. E dell’investigatore privato pagato per pedinarla a ogni passo. La frase della donna che lo ha fatto impazzire – ma sul fatto che sia stata davvero pronunciata il gip Andrea Claudiani scrive parole dubbiose, elencando nell’ordinanza di arresto il susseguirsi di percosse e vessazioni – sarebbe questa: «Non è figlio tuo». Parole riferite alla paternità del bimbo della coppia, 6 anni, in un’altra stanza al momento del delitto

Al caso Massimo Gramellini ha dedicato il suo Buongiorno di oggi sulla Stampa:

Mentre esiste sempre l’ipotesi che il marito violento riuscisse a nascondere agli altri la propria natura e la scatenasse soltanto tra le mura domestiche, il selfie della vittima testimonia che qualcuno all’esterno della coppia era stato avvertito. Le colleghe di Raffaella l’avevano vista arrivare a giugno in ufficio con un timpano rotto a furia di botte e l’avevano scongiurata affinché chiamasse i carabinieri. Ma perché non li avevano chiamati loro? Perché uno dei destinatari del selfie d’accusa non si è presentato in procura sventolando l’immagine impressa nel suo telefonino? Quel selfie era a tutti gli effetti una notizia di reato

Photocredit copertina ANSA/ PIETRO CROCCHIONI

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