Expo, parla il poliziotto picchiato: «Senza casco non sarei qui»

«Se non avessi avuto il casco, la conchiglia, i parastinchi e le altre protezioni sarebbe finita molto peggio. Ora invece sono ammaccato, ma niente di grave». Sono le parole del vicequestore Antonio D’Urso, 46 anni, il poliziotto che tre giorni fa, durante gli scontri a Milano al corteo anti-Expo, è stato bloccato e preso a bastonate da alcuni manifestanti a volto coperto. In un’intervista rilasciata a Paolo Berizzi per Repubblica D’Urso, a capo del commissariato di Quarto Oggiaro, racconta: «Io ero lì a fare il mio lavoro, semplicemente il mio lavoro. Che in quel momento era fermare questi delinquenti che lanciavano di tutto nascondendosi dietro gli alberi».

 

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POLIZIOTTO PICCHIATO AL CONTREO NO EXPO, IL RACCONTO –

Il poliziotto è uscito dallo scontro con lividi sul fianco e all’avambraccio sinistro. «In quei punti – ha detto a Repubblica – non sei coperto dalle protezioni. Sono scivolato a terra sull’erba bagnata. Poi giù sul marciapiede. Hanno iniziato a prendermi a calci, pugni e mazzate. Per fortuna avevo il casco, se no non so come sarebbe finita». Le immagini dell’episodio sono rimbalzate in rete di profilo in profilo diventando una delle scene emblematiche dei disordini a Milano.  D’Urso è stato assalito dopo un primo tentativo di bloccare Alice, una 33enne milanese che sarà poi fermata insieme ad altri 4 manifestanti. Scrive Berizzi:

Cosa succede, dunque, in largo Pagano? «Non ricordo con precisione che ora fosse. So che abbiamo finito il servizio alle 18. Il corteo si era ormai praticamente sciolto». Già. Le tute nere, i mille teppisti, dopo la ‘svestizione’ tra via Boccaccio e Conciliazione, si erano volatilizzati: molti rientrando nell’ultimo pezzo del serpentone di manifestanti ‘buoni’, altri allontanandosi nelle strade laterali. «Ma c’era ancora gente che faceva casino — ricorda D’Urso — Continuavano a lanciare oggetti di ogni tipo, sassi, bottiglie, pezzi di ferro. Noto una ragazza, in particolare. È a volto scoperto e quindi memorizzo la sua faccia. Era una delle più scatenate. Faceva parte di un gruppetto». È Alice, capelli scuri, vestita di nero. Quando la arrestano, venti minuti dopo, la militante ringhia contro i poliziotti: «Non c’avete proprio un cazzo da fare… La mia sfiga è stata quella di tornare indietro, uno sbirro mi ha riconosciuto, ‘arrestatela, arrestatela, lei è cattiva’». Poi, sprezzante, la provocazione rivolta a uno dei due celerini: «Facciamo sesso selvaggio in cella?». Antonio D’Urso Alice era riuscito a bloccarla proprio in largo Pagano. «La riconosco, in mezzo alle piante. Il mio dovere era arrestarla. Mi avvicino e la afferro a un braccio. Lei si gira di scatto e mi tira contro una bottiglia, che riesco a schivare. La stavo portando dai colleghi quando sono usciti da un cespuglio alcuni suoi compagni. All’improvviso». D’Urso, in quegli istanti, tra le aiuole, si trova solo. È in inferiorità numerica.

Poi gli attimi di paura. «Mi hanno spinto e sono caduto a terra. Uno, con la maschera antigas, cercava di spaccarmi la visiera non un oggetto di ferro. L’altro mi colpisva con un bastone». Cinque contro uno.

(Foto: Ansa / Massimo Percossi)

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