Perché Roberto Vecchioni ha ragione sulla Sicilia

Non serve nascondersi dietro la propaganda. Né dietro la dittatura del politicamente corretto, della facile indignazione da tastiera per qualche parola non troppo gradita ai benpensanti. Roberto Vecchioni ha ragione. E non certo perché la Sicilia sia «un’isola di merda». Parole provocatorie, pronunciate all’università di Palermo dal cantautore, all’interno di un discorso in realtà molto più articolato. 

L’obiettivo del cantante non era certo denigrare o insultare il popolo siciliano. Tutt’altro. Quella di Vecchioni era una dichiarazione d’amore verso la Sicilia. Un invito a non accettare chi, per quieto vivere o per interessi, la offende e la maltratta ogni giorno. Ma limitarsi a inveire contro chi ha osato provocare, invece che sforzarsi di comprendere il messaggio lanciato da Vecchioni, è certamente più semplice.

 

ROBERTO VECCHIONI SICILIA

Premessa. Questa è la parte del discorso con il quale Roberto Vecchioni ha scatenato reazioni rabbiose. Prima tra chi assisteva al suo intervento e ha abbandonato l’aula universitaria, poi sui social network:

«Credete che sia qua soltanto per sviolinare? No, assolutamente. Arrivo dall’aeroporto, entro in città e praticamente ci sono 400 persone su 200 senza casco e in tutti i posti ci sono tre file di macchine in mezzo alla strada e si passa con fatica. Questo significa che tu non hai capito cos’è il senso dell’esistenza con gli altri. Non lo sai, non lo conosci. Inutile che ti mascheri dietro al fatto che hai il mare più bello del mondo. Non basta, sei un’isola di merda. Non amo la Sicilia che rovina la sua intelligenza e la sua cultura, che quando vado a vedere Selinunte, Segesta non c’è nessuno. Non amo questa Sicilia che si butta via“.

PERCHÉ VECCHIONI HA RAGIONE SULLA SICILIA –

C’è chi su Twitter ha parlato di «qualunquismo», chi ha offeso il «professorone arrivato dal Nord per farci la morale», chi ha pure evocato il «solito razzismo contro i siciliani e il Sud». Niente di tutto ciò. Il razzismo non c’entra nulla. Frustrante dover prendere atto che del discorso di Vecchioni si sia compreso poco o nulla. Se non la “forma”. Ma a cosa serve nascondersi dietro la maschera dell’espressione merda”? Piaccia o non piaccia, se non avesse utilizzato questa provocazione il discorso del cantautore sarebbe stato già dimenticato. Invece se ne continua a parlare, cerca di scuotere le coscienze. E fa male perché costringe a fare i conti con la realtà. Magari, oltre alla crociata lanciata dai pretoriani del lessico educato, qualcuno ora si indignerà anche per quell’illegalità diffusa che in troppi fanno finta di non vedere in Sicilia, così come in tutta la penisola.

PERCHÉ VECCHIONI HA RAGIONE SULLA SICILIA –

No, caro Vecchioni, non amo nemmeno io quella Sicilia che ha paura di guardarsi dentro. Quella che non ha voglia di ribellarsi al suo stato di precarietà, ormai simbolo stanco di un Mezzogiorno d’Italia che per lo Svimez rischia un  “sottosviluppo permanente”. Folle indignarsi per una parola fuori posto. E poi restare indifferenti di fronte all’inchino “omaggio” con la vara di Santa Barbara al mafioso di Paternò, con tanto di banda che intona la colonna sonora del “Padrino”. Uno scandalo che non ha scatenato alcuna rivolta dei fedeli e dei cittadini presenti, né dello stesso sacerdote.

Vecchioni ha ragione perché non si può amare una Sicilia che resta a contemplare le proprie bellezze, il suo fascino o il suo passato. Proprio mentre quel patrimonio viene deturpato da classi dirigenti irresponsabili, che da anni l’hanno consegnata a un passo dal default. Tra condoni e licenze folli che rovinano le sue coste, tra corruzione e sperpero di denaro pubblico (ricordate la vergogna dei fondi europei mal utilizzati o da restituire?). Dov’erano quei siciliani che hanno l’orgoglio ferito per la “merda” di Vecchioni nelle stagioni del cuffarismo e del lombardismo? E dov’era il sottosegretario allo Sviluppo economico Simona Vicari (Ndc) che oggi bolla le parole di Vecchioni come «sproloqui volgari contro uno dei fari della civiltà e della cultura europea e mediterranea»? Per non parlare della Sicilia della pseudo-rivoluzione crocettiana, già fallita prima di partire, tra guerre con le varie correnti del suo partito e un rimpasto dietro l’altro.

Vecchioni ha ragione perché non si può amare la Sicilia di chi non ha il coraggio di denunciare il malaffare. Né quella in cui chi chi lo fa viene isolato, «perché non conviene», perché «cu mu fa fari», perché lo «Stato non ti tutela e non puoi fare l’eroe solitario».  No, bisogna smetterla di far finta di nulla. Perché il silenzio è complicità. E la denuncia, seppur con parole violente, amare, “volgari” –  o presunte tali, come quelle di Vecchioni – , è liberazione. Basta con l’atteggiamento ipocrita di chi sbandiera che non bisognerebbe sempre mostrare gli aspetti negativi di questa terra o del Sud. Ricordate Paolo Borsellino? «Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene». Raccontare la tragedia del Mezzogiorno, travolto da mafie, burocrazie, connivenze, interessi di parte, è tutt’altro che un «piagnisteo» (Renzi dixit). Denunciare non basta, forse non ci salverà. Ma è il primo passo. Poi c’è bisogno di proposte, di coinvolgimento, di partecipazione. Ma non sarà indignandosi per la forma più o meno corretta di chi ti spinge a ribellarti che faremo svoltare la nostra Sicilia. 

(ps. chi scrive è nato a Taormina e ama la Sicilia)

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