Perché l’Italicum 2 non ci piace affatto

Lo diciamo senza girarci troppo intorno: il nuovo italicum non ci piace. Se possibile, ci piace ancora meno della versione precedente. E il motivo è semplice: le preferenze sono il male assoluto.

E’ vero: questa legge elettorale – almeno sulla carta – fornisce la tanto sospirata governabilità. Alla fine dell’eventuale secondo turno si saprà con certezza chi governerà il paese. Insomma, si eviteranno situazioni paradossali come quella dopo le ultime elezioni. E questo, lo ammettiamo, non è un risultato da poco.

Ma per il resto, siamo davanti ad una grande delusione. Soprattutto per chi, come chi scrive, pensava che fosse necessario un ritorno al sistema dei collegi uninominali. Collegi piccoli, dove i candidati possano farsi conoscere dai cittadini del territorio, e verso i quali dovrà rispondere del suo comportamento.

Invece le preferenze sono un tumore del nostro sistema. Un tumore, peraltro, riconosciuto da molti. Dalla magistratura che più volte ha indicato nelle preferenze il sistema preferito dalle associazioni criminali per incidere sul voto, muovendo pacchetti di preferenze. Le preferenze sono il sistema migliore per far proliferare il voto clientelare, alimentato, come sappiamo, dalle partecipate locali e dello stato.

Come abbiamo visto in passato, i “re delle preferenze” raramente brillavano per capacità politiche o intellettuali, anzi. Senza dimenticare, come fanno un po’ tutti, che gli italiani si sono espressi contro le preferenze con un referendum agli inizi degli anni ’90.

C’è un’altra verità. A dispetto di un dibattito pubblico che fa pensare che le preferenze siano una richiesta di democrazia che viene dai cittadini, la verità dei numeri dimostra come in realtà le preferenze siano un elemento del voto molto poco usato dagli elettori. Circa il 15% di chi si reca alle urne indica una preferenza. Una percentuale che – ovviamente – sale molto scendendo verso sud (arrivando oltre il 20%) e diminuisce (fino al 10%) salendo verso nord.

Certo, paradossali, appaiono anche le critiche di chi, nella sinistra dem, dopo aver accettato senza alcun problema il famoso “listino Bersani” – con cui oltre cento persone furono inserite nelle ultime liste elettorali in posti quasi blindati evitando le primarie – ora grida alla fine della democrazia per i cento capilista bloccati.

La verità, tornando all’Italicum, è che si tratta di un compromesso politico. Un compromesso dovuto alle esigenze dei partiti. Esigenze diverse: da quelle del NCD di Alfano che vuole uno sbarramento basso, a quelle di Berlusconi che vuole il controllo totale sulla scelta dei parlamentari, a quelle del Premier che vuole una sorta di “riduzione a consiglio comunale” del Parlamento.

E’ vero: la politica è l’arte del possibile. E quindi il compromesso è una via che non va demonizzata a prescindere. Ma se il compromesso è al ribasso e si applica anche sui pilastri delle regole del gioco, ci piace meno. E, soprattutto, se il compromesso, invece di essere una virtuosa via intermedia tra idee diverse, si acconcia ad essere un mosaico di diversi interessi di parte, ci piace ancor meno.

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