Perché il sindaco di Pomezia ha sbagliato (in ogni caso)

Noi non siamo ipocriti. Sappiamo benissimo che le differenze economiche e sociali esistono. C’è il ricco è il povero. C’è chi guadagna tanto perché ha fatto carriera per meriti propri, chi non l’ha fatta nonostante lo meritasse.

Tutto questo per dire che nella vicenda della mensa delle scuole materne di Pomezia, dove grazie ad una particolare gara d’appalto sono stati creati due menù a due prezzi diversi, uno che costa un po’ di più con il dolce, un secondo più economico, senza dessert, non apparteniamo alla schiera dei buonisti ad ogni costo. Di chi vive nel mondo delle favole.

Anche venti anni fa, un occhio esperto, guardando le merende dei bambini, avrebbe potuto intuirne magari l’estrazione socio-economico. Ma era appunto un “occhio adulto” a poter trarre certe conclusioni.

Qui, il sindaco del Movimento 5 Stelle, ha deciso di mettere a nudo le differenze economiche e sociali davanti a tutti. Principalmente davanti ai bambini stessi. Non importa che la scelta sia dei genitori, come lui sostiene, perché badare ai suoi cittadini è una sua responsabilità.

Non ci vuole un genio per capire cosa accadrebbe in una mensa scolastica dove alcuni bambini ricevono il dolce e altri no. (Poi … il dolce …la cosa che i bimbi aspettano di più).  Un differente trattamento esibito davanti alle maestre e ai compagni. Con ricadute e ripercussioni nel rapporto tra gli alunni, che possiamo immaginare tutti.

Ecco, quello che non si può proprio perdonare al sindaco a cinque stelle (magari da domani leviamone qualcuna) è l’aver istituzionalizzato la differenza economica davanti ai bambini stessi, l’aver pensato di poterla mostrare senza che ciò avesse ripercussioni sugli alunni.

Ma soprattutto troviamo imperdonabile aver pensato di inoculare il veleno della scoperta del diverso, nel periodo dell’innocenza, in cui tutti i bambini si sentono uguali.

Ecco, ci piacerebbe che, anche a Pomezia, questa tradizione continuasse. Almeno fino ai cinque anni. Per diventare “cattivi”, c’è tempo.

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