Al presunto torturatore Osman Matammud la giudice concede un abbraccio con la figlioletta

13/09/2017 di Redazione

Un fatto insolito al Tribunale di Milano: durante il processo di Osman Matammud, il somalo arrestato a Milano con l’accusa di aver torturato, ucciso e stuprato connazionali in un campo profughi da lui gestito in Libia, la sua gabbia è stata aperta. Il motivo? Concedergli un abbraccio con la figlia di 4 anni, che non aveva mai visto. Lo riferisce il sito di notizie giustiziami.it.

Osman Matammud ha 22 anni: un anno fa all’hub di via Sammartini a Milano due ragazze lo hanno riconosciuto e hanno raccontato di essere state stuprate da lui nel centro di Bani Walid, in Libia, che – secondo il loro racconto – lui gestiva. A Milano il somalo ha rischiato il linciaggio ed è poi stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. A gennaio le accuse nei suoi confronti sono diventate ben più gravi: gli vengono imputati quattro omicidi, sadiche torture e e decine di stupri.

LE ACCUSE CONTRO OSMAN MATAMMUD: OMICIDI, STUPRI, SADICHE TORTURE

I racconti delle vittime contenuti nel fascicolo a suo carico sono raccapriccianti: «In 40 anni di carriera non ho mai visto niente di simile», ha commentato Ilda Boccassini, che coordina l’inchiesta. Accuse sempre respinte da Osman Matammud, che sostiene di non aver mai gestito un centro profughi in Libia, di non aver mai fatto violenze contro nessuno (anzi, dice di essere stato torturato lui stesso durante il viaggio verso l’Europa e ne porta a conferma dei segni sulle gambe) e di non aver mai incontrato prima le persone che dicono di essere state sue vittime. Prova ne sarebbe – secondo il suo legale, l’avvocato Gianni Carlo Rossi – che «la persona che viene descritta negli atti, con accuse che sono pazzesche e devastanti, stride con lui che, prima di tutto, non ha un soldo, non può permettersi un avvocato di fiducia, cosa strana per un trafficante di uomini». La linea del difensore è che il suo assistito sia rimasto vittima di un conflitto tra clan somali.

OSMAN MATAMMUD E L’ABBRACCIO CON LA FIGLIA AL TRIBUNALE DI MILANO

Sarà il processo a chiarire se Osman Matammud sia uno dei più sadici torturatori che la storia recente ricordi o un giovanissimo padre, che quasi al termine della sua epopea per raggiungere moglie e figlioletta, è stato incastrato con false accuse. Nella gabbia degli imputati alla Corte d’Assise del Tribunale di Milano, però, oggi c’è lui, accusato di crimini atroci.

Ieri alla sbarra dei testimoni è stata chiamata la moglie, che vive a Roma insieme alla figlia di quattro anni e non vede il marito da anni. Una deposizione durata due ore, mentre la bimba disegnava nella stanza accanto. Poi, al termine dell’udienza, l’avvocato di Matammud, Gianni Rossi, ha azzardato una richiesta insolita alla presidente della Corte, la giudice Giovanna Ichino: far salutare da Osman la figlia attraverso le sbarre. Il magistrato ha fatto ben di più, come riporta la cronista giudiziaria Manuela D’Alessandro su giustiziami.it:

Il magistrato si spinge oltre con un gesto definito dall’avvocato Rossi «di grandissima umanità». Va via dall’aula assieme agli altri giudici disponendo che le sbarre si aprano. La bimba può così abbracciare e riempire di baci per la prima volta il suo papà. Per lei l’uomo  indicato dalla legge come un presunto aguzzino e che per il suo avvocato è la vittima innocente di un conflitto tra clan è solo il papà di cui la mamma le ha parlato per tanto tempo.  Dieci minuti tra gli sguardi inteneriti di tutti i presenti in un’aula di Tribunale illuminata da una presenza infantile, come mai accade (i minori non possono entrare). La gabbia si chiude ma un agente della polizia penitenziaria vedendo la bambina esitare ad andarsene decide di spalancarla per l’ultima volta: «Dai, vai a salutare il tuo papà». E lei corre.

Foto copertina: ANSA/UFFICIO STAMPA COMUNE DI MILANO

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