Amici giornalisti facciamo mea culpa: abbiamo mandato a puttane l’opinione pubblica di questo paese

Esco personalmente da questi due giorni post-attacco a Parigi piuttosto provato. Certamente da quanto è successo venerdì sera nella capitale francese. Ma anche dalle reazione che ho visto qui in Italia, sia a livello politico, che mediatico. Ma non solo.

Mai come in questi due giorni la “melma” ci ha invaso. Qualcuno la definisce la “feccia del web”. Io – che da sempre credo che il web sia popolato da persone – la definisco la deriva senza freni del buon senso. Diciamocelo chiaramente: la nostra opinione pubblica è andata letteralmente a farsi benedire. È successo sotto i nostri occhi, e nella migliore delle ipotesi non abbiamo fatto nulla per arrestare questo decadimento. Molto probabilmente, anzi, siamo stati complici di questa deriva folle. In qualche caso l’abbiamo assecondata.

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Fatto sta che in questi due giorni abbiamo sentito di tutto: insulti verso i musulmani, teorie complottistiche, frasi in libertà; con l’incompetenza e la faciloneria a farla da padroni.

Già vi sento: e te ne accorgi solo adesso? No, era già abbastanza palese. Già a gennaio, dopo i fatti di Charlie Hebdo, c’era qualche “genio” che sosteneva che era tutto una recita perché al poliziotto a cui il commando sparò mentre si trovava a terra, “non erano schizzate le cervella fuori dalla testa”. Il livello è questo.

E’ successo anche stavolta, ma in maniera più amplificato. Sabato qualche altro “complottista” parlava di un attacco preparato dall’occidente perché Facebook  aveva pronto l’applicazione “Come stai”. Mitomani.

Ma non solo i complottisti: l’odio senza confini nei confronti di tutto dell’Islam riversato in ogni dove, il pressapochismo delle ricette proposte per risolvere i problemi, generali improvvisati che organizzano su facebook spedizioni militari punitive. Oramai si accetta tutto, tutti possono dire tutto. Che si tratti della formazione della nazionale agli Europei o di delicate questione mediorientali, non fa differenza: il gentismo è al comando.

Ed è giusto che a salire sul banco degli imputati siano prima di tutto i giornalisti e gli editori. Noi giornalisti innanzitutto. In un preciso momento abbiamo accettato di alzare bandiera bianca. Abbiamo deciso che l’opinione pubblica italiana potesse andarsene a quel paese. Ci siamo accontentati di “seguire” invece che di farci seguire. Di più, abbiamo preferito inseguire l’istinto, la pancia e la rabbia. Di tutti, di ogni potenziale lettore. Abbiamo prima inseguito il fenomeno della Casta, e forse avevamo ragione: i privilegi dei nostri politici erano insopportabili. Poi abbiamo abbiamo iniziato ad attaccare chiunque avesse un minimo di successo o visibilità. Poi abbiamo continuato randellando quelli che non erano d’accordo con noi. Abbiamo, come i peggiori politici, inseguito la pancia della gente e non la testa delle persone. Abbiamo preferito l’indignazione al ragionamento. Abbiamo privilegiato il pressapochismo all’inchiesta seria. Abbiamo sposato il linciaggio personale, tralasciando l’analisi dell’evento.

Se fin troppe persone hanno perso fiducia nell’informazione “ufficiale”, forse parte della colpa è anche di noi operatori dell’informazione, che fin troppo spesso abbiamo confezionato un prodotto più adatto ai colleghi che ai nostri lettori. Con un certo snobismo abbiamo prima creduto che insultarci a colpi di editoriali dalle colonne dei giornali, soddisfacendo il nostro ego, fosse il nostro core business; poi ci siamo accorti che ai lettori non fregava nulla delle nostre scaramucce e per inseguire quelli che ci hanno abbandonato abbiamo generato un enorme quantità  di paccottaglia che siamo pronti a riversargli addosso (gattini, tette, culi), credendoli sostanzialmente degli idioti non alla nostra altezza.

Sostanzialmente abbiamo abdicato al nostro ruolo di formazione dell’opinione pubblica nel paese. Abbiamo rinunciato a parlare con una buona fetta di questo paese, che ormai ha abbracciato altre fonti di informazione. E per questo vediamo che sui social network il Corriere della Pera, riesce a fare più proseliti del Corsera, che qualsiasi blog portato avanti da qualsiasi scribacchino, riesce a conquistarsi la stessa autorità di un giornale cartaceo.

E nella rinuncia al ruolo di formare un’opinione pubblica, un suo peso lo hanno anche scelte – come quella di Mediaset – di affidare l’informazione sugli attentati di Parigi, ieri pomeriggio a Barbara D’Urso. È una scelta che grida vendetta, e la cui colpa è solo e soltanto dell’editore. Una scelta talmente indigeribile che non solo twitter si è rivoltato contro Barbara D’Urso e Salvini, ma addirittura il Presidente dei Senatori di Forza Italia Romano ha sentito il bisogno di prendere le distanze da Mediaset.

Diceva Renè nella fortunata serie-tv Boris che “la qualità c’ha rotto il cazzo”, e urlava “viva la merda”. Ecco, se negli ultimi anni abbiamo sempre pensato che Renè avesse ragione, ora è giunto il momento di provare a dimostrare che aveva torto

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