Nicola Colangeli, al Rigopiano tutti i giorni per pregare per la figlia morta sotto la valanga

Nicola Colangeli è il papà di Marinella, la direttrice della Spa dell’hotel Rigopiano, morta a soli 30 anni sotto la valanga che lo scorso 18 gennaio ha investito la struttura. Ospiti e personale sono rimasti bloccati sotto un cumulo di neve e macerie per giorni: 11 sono riusciti miracolosamente a sopravvivere, 29 non ce l’hanno fatta.

Da allora, Nicola Colangeli, autista in pensione e oggi tabaccaio a Farindola, visita quotidianamente il luogo della tragedia: «Salgo quassù ogni giorno, per una preghiera», racconta alla giornalista del Quotidiano Nazionale, che lo ha incontrato, mentre un camion si avvicinava a ciò che è rimasto dell’hotel Rigopiano, un cumulo di macerie, radici, rami, materassi, lampade, insieme ai ricordi di chi è rimasto coinvolto nella tragedia.

NICOLA COLANGELI: «SALGO AL RIGOPIANO OGNI GIORNO, PER UNA PREGHIERA»

«Cosa vengono a fare qui, cosa cercano? Sotto queste macerie sono seppelliti i nostri ricordi. Ci hanno restituito il cellulare di Marinella, ma è in condizioni pessime», si chiede Nicola Colangeli, assistendo all’arrivo del camion. Seppellite là sotto ci sono anche le valigie della figlia, che lui e la moglie attendono, come i parenti di tutte le altre vittime. «La nostra vita è un inferno. Il giorno provi a lavorare ma la notte… La notte non passa mai. Mia moglie è imbottita di medicine, io non riesco a dormire».

NICOLA COLANGELI: «NEL 2017 NON SI PUÒ MORIRE COME TOPI. DEVONO PAGARE, DAL PRIMO ALL’ULTIMO»

Oltre al dolore per la perdita, Nicola Colangeli prova tanta rabbia, non solo perché la tragedia del Rigopiano si poteva e si doveva evitare, ma anche per ciò che è successo dopo: «’Naltro po’ è colpa nostra, che ci tenevamo i figli qui, a lavorare o in vacanza. Noi familiari siamo tornati in prefettura a Pescara. Le risposte? Tutte negative. Le istituzioni mi hanno deluso tanto. Si dovevano pulire solo nove chilometri di strada, nove chilometri capito? Nel 2017 non si può morire come topi. Non si possono lasciare quaranta persone così, con ’sti mezzi che stanno per il mondo, dopo la disgrazia sono arrivati persino dalla Svizzera… Tutti sapevano che tempo faceva e quanta neve sarebbe caduta. Ci voleva la turbina, le strade di montagna qui si sono sempre pulite così. Io più che al prefetto vorrei chiedere perché alla Provincia e alla Regione. Avevano garantito la massima sicurezza. Invece dal 17 si è bloccato tutto ed ora eccoci qua. Devono pagare, dal primo all’ultimo», ha detto al Quotidiano Nazionale.

Foto copertina: Archivio ANSA

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