Nello Trocchia, il giornalista del Fatto minacciato dalla mafia a cui non arriva la protezione

Nello Trocchia è il giornalista del Fatto Quotidiano minacciato dalla mafia a cui non arriva la protezione cronista campano autore di libri e inchiesta su fatti di mafia e corruzione: il giornalista viene citato nelle intercettazioni della telefonata intercorsa fra un boss “condannato per camorra” che dice chiaro e tondo: “A lui spacco il cranio”. Una minaccia esplicita che, però, non si è ancora tradotta – come di solito avviene – nell’emissione di un dispositivo di sicurezza a favore del cronista.

NELLO TROCCHIA, IL GIORNALISTA DEL FATTO MINACCIATO DALLA MAFIA SENZA PROTEZIONE

Nelle intercettazioni e nelle informative si legge che i malavitosi avrebbero anche individuato “il luogo di lavoro” del cronista; per i Carabinieri, quelle riportate nelle intercettazioni sarebbero “esplicite frasi di minaccia” nei confronti di Trocchia. Il Fatto Quotidiano racconta la vicenda del suo giornalista.

Il dialogo captato dalle cimici lascia pochi dubbi sulla volontà dei due di punire in maniera esemplare il cronista, reo di aver fatto scattare le indagini sul gruppo criminale: “A quel giornalista gli devo spaccare il cranio e dopo mi faccio arrestare”, dice il fratello. Ma la storia non finisce qui. I militari registrano le minacce il 10 giugno e subito inviano un’informativa riservata alla Procura antimafia di Napoli. Per un mese però, incredibilmente, nulla succede e il giornalista a tutt’oggi non ha ricevuto alcuna misura di protezione.

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Il che è strano, dice il Fatto, perché di solito le forze dell’ordine sono molto solerti davanti a fenomeni del genere.

La procedura volta a garantire un’azione di tutela è ben collaudata e solitamente tempestiva. I suoi passaggi sono attentamente codificati: la procura invia la nota degli investigatori alla procura generale, che a sua volta invia la documentazione in Prefettura. A questo punto il prefetto dovrebbe convocare il Comitato per l’ordine e la sicurezza, l’organo, cioè, che decide eventuali misure da adottare per la tutela della persona “esposta a rischio”. Ma qualcosa, evidentemente, non ha funzionato. Sono passati quasi trenta giorni e nulla si è mosso.

Si è anche provato a rintracciare la pratica, ma con scarso successo.

Da quanto si apprende la procura, a distanza di qualche giorno, avrebbe effettivamente inviato alla Procura generale il fascicolo ma da lì in poi ne sono perse le tracce. Dalla Prefettura, contattata da L’Espresso, non filtrano dettagli e risposte. Quella ufficiale è che “ciò di cui si discute nei comitati dell’ordine e la sicurezza è materia riservata”. Di fatto, non confermano né smentiscono l’arrivo dei documenti. Quello che è certo, però, è che al momento nessuna misura a protezione del giornalista è stata presa. A dire il vero neppure è stato informato ufficialmente di quanto i due intercettati meditavano di fare: una spedizione punitiva in piena regola.

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