Ncd ribolle, pressing su Alfano: «Basta governo». Ma l’obiettivo è l’Italicum

In equilibrio precario, ancora una volta. La fronda del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano «che non vuol morire renziana» torna a lanciare messaggi minacciosi sulla tenuta del governo. Dopo un risultato, quello delle Amministrative, tutt’altro che esaltante per Area popolare e a pochi mesi da quel referendum costituzionale che per Renzi è la «madre di tutte le battaglie», da Renato Schifani a Maurizio Lupi, fino a Roberto Formigoni, il partito ribolle. Chiede di staccarsi, seppur con diverse sfumature sui tempi, dall’abbraccio con il premier. Non è un caso che lo stesso ex governatore lombardo, intervistato dal Corriere della Sera, sia tornato a pressare il leader Alfano: «Credo il tempo del Ncd al governo sia finito. Oggi, non in ottobre. Spero che anche Allano se ne convinca». 

FORMIGONI PRESSA ALFANO: «FINITO IL TEMPO DEL GOVERNO, OGGI»

Certo, non è la prima volta che accade. Alfano è già riuscito a stoppare la diaspora interna, dopo la mini-scissione di Quagliariello e l’uscita di Giovanardi. Ma è chiaro che, di fronte ai risultati del Pd di Renzi per la prima volta in affanno, dentro Ncd l’ala più oltranzista sia ora tornata a contestare la strategia dei vertici.  Tanto che il capo del Viminale, seppur legato alla strategia filo-governativa, faccia ora fatica a evitare l’implosione. Anche perché, seppur il muro a difesa dell’Italicum si stia disgregando anche all’interno della maggioranza e tra i pasdaran del presidente del Consiglio, da Matteo Renzi non c’è stata alcuna chiara apertura a possibili modifiche della legge elettorale. «La mozione di Si? Non sono preoccupato, ce ne sono tante», ha replicato nel corso del #Matteorisponde. Tradotto, mentre un fronte trasversale in Parlamento (minoranza Pd, la stessa Ap-Ncd, Si, verdiniani di Ala e non solo) spinge l’assalto alla legge elettorale, la posizione di Palazzo Chigi resta ancora ambigua. Ma senza modifiche e senza premio di maggioranza restituito alla coalizione, lo stesso Alfano resterebbe nella “terra di mezzo”.

IL NODO ITALICUM

Renzi ha più volte blindato la legge elettorale a doppio turno, così come premio di maggioranza alla lista, l’ha difesa perché in grado di assicurare la governabilità. Ma il problema è che ora a beneficiarne potrebbe essere il M5S, il vero “partito della Nazione“. Forse l’unico in grado di catturare e pescare consensi in un secondo turno tra aree diverse di elettorato, da destra a sinistra. E non a caso, seppur ufficialmente contrari all’Italicum, i pentastellati non hanno mai fatto un’opposizione feroce a una legge perfettamente adatta a chi, come lo stesso M5S, allontana qualsiasi alleanza. Renzi ne è consapevole, ma cambiare ora è complicato. Sarebbe accusato di voler stoppare l’ascesa pentastellata attraverso una legge elettorale sul quale aveva messo la faccia. L’unica via sarebbe quella di un’iniziativa parlamentare, magari “tollerata” dai vertici dem.

Uno scenario che resta comunque incerto. E che spaventa tutto l’universo centrista e gli orfani del berlusconismo che avevano abbandonato il leader di Arcore per una conversione sulla strada di Pontassieve. Anche perché è in gioco la stessa sopravvivenza politica alle prossime politiche, con il tema della ricandidatura. «Diamo a Renzi solo un appoggio esterno», è il coro che parte dentro il Nuovo centrodestra. Più che altro, ancora una minaccia. Ora rilanciata pure da Formigoni: «Noi siamo rimasti al governo per fare le riforme. Compito finito. E la nostra alleanza con il Pd era dettata solo dalla gravissima situazione dell’Italia. Ora, con Renzi le prospettive divergono». Segnali e posizionamenti già emersi al momento dell’approvazione delle Unioni civili. Così come nel capitolo giustizia, non a caso congelato da Palazzo Chigi, per il nodo prescrizione. L’obiettivo reale, a breve termine, resta però la modifica della legge elettorale: «Premio alla coalizione e contrappesi: elezione dei senatori. E deputati non nominati», è la richiesta che parte da Formigoni e dalla minoranza di Ncd. Altrimenti, avvertono, il partito dovrebbe uscire dal governo. E guardare oltre, per evitare la scomparsa.

Non è un caso che la truppa antirenziana di Ncd punti verso la riorganizzazione centrista e verso quel modello Milano che ha perso con Parisi, ma di poco, nella sfida delle Comunali nel capoluogo lombardo. Un laboratorio che potrebbe essere ripetuto in Sicilia, alle prossime Regionali, tanto c’è chi invita lo stesso Alfano a candidarsi. «È chiaro che mai entreremo nelle liste Pd: il nostro compito è organizzare il centro. Oppure, con le condizioni di Milano, potremmo far parte di un centrodestra a guida moderata», avverte Formigoni. E ancora: «Se Renzi non cambia, non possiamo più essere alleati, visto che non lo saremo alle elezioni». Un avvertimento diretto non solo a Palazzo Chigi, ma anche verso Alfano e i vertici di Ncd. Per cambiare linea. O costringere il premier a farlo.

ALFANO NELLA TERRA DI MEZZO CON I FILORENZIANI

Una prospettiva, quella dell’uscita dall’esecutivo, che Alfano però non intende ancora prendere in considerazione. Almeno, di certo, non prima del passaggio cruciale del referendumdi ottobre. Una posizione condivisa da tutta l’area che nel partito ormai considera il premier come il vero leader. «Oggi questo governo assicura insieme la governabilità e l’innovazione possibile del sistema. Allora tutto, dal voto Si al referendum costituzionale alla modifica della legge elettorale, va visto in questa ottica al di fuori di ogni schema precostituito», è l’appello di Fabrizio Cicchitto. Non l’unico. Pochi giorni fa pure Sergio Pizzolante aveva evocato l’idea di aprire un nuovo cantiere per un partito che replichi lo schema di governo: «Alle Comunali abbiamo sbagliato quasi tutto. Ci siamo messi in una terra di nessuno, Ncd deve chiudere per far nascere una forza nuova alleata del premier». Anime inconciliabili, quella filo-premier e quella antirenziana di Ncd, tenute insieme per mesi soltanto da interessi e tattiche politiche. Ma che ora, con la maggioranza che traballa e il l’Italicum tornato centrale nell’agenda politica alla vigilia della sua entrata in vigore (il primo luglio, ndr), Alfano fa sempre più fatica a tenere unite. E di nuovo a rischio implosione.

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