Il caso Moro nei documenti d’ambasciata pubblicati da Wikileaks

08/06/2015 di Mazzetta

Nel database dei cable delle ambasciate americane ormai pubblici e ora resi consultabili online da Wikileaks si è aggiunta una serie di dispacci diplomatici che partono dal 1976 e arrivano al 2010, e che comprendono anche diversi messaggi relativi al caso Moro.

moro wikileaks

IL CASO MORO NEI CABLE PUBBLICATI DA WIKILEAKS –

Nell’ultima release pubblicata da Wikileaks e relativa principalmente al periodo della presidenza Carter, ci sono 372 dispacci inviati dall’ambasciata romana degli Stati Uniti relativi al caso Moro, solo 35 dei quali erano in origine classificati come segreti. Intuitivamente i messaggi inviati a Washington in relazione al caso dovrebbero essere molti di più e come è accaduto per altri casi e periodi storici non hanno ancora passato il filtro dei censori a guardia dei documenti classificati, destinati ad emergere solo in futuro quando cambieranno le decisioni o quando un ricercatore fortunato compilerà la giusta richiesta a norma del Freedom Of Information Act (FOIA). I cable venuti recentemente alla luce sono comunque utili a ricostruire il clima del periodo storico e alcuni passaggi dietro le quinte della crisi che impegnò l’Italia dal 16 marzo al 9 maggio del 1978, giorno nel quale il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse si concluse con il ritrovamento del cadavere dello statista democristiano e presidente della Democrazia Cristiana in carica al momento del rapimento. A leggere i dispacci diplomatici si può concludere che gli americani furono di pochissimo aiuto, anche se si prestarono offrendo comunque quel che potevano.

AMERICANI E COMPLOTTISMI –

In un cable del  30 marzo si descrive un incontro con Nicola Lettieri, sottosegretario agli Interni, nel quale il consigliere politico americano gli comunica di non avere informazioni utili sulle Brigate Rosse, anzi, di non averne proprio. A Lettieri dissero che non avevano raccolto informazioni sul terrorismo domestico in Italia e che non avevano le capacità di farlo. Lettieri ci rimane male e promette di provare a convincere i suoi interlocutori che gli americani davvero non ne sanno niente. Nei 55 giorni del sequestro fiorirono diverse teorie del complotto e anche nella Democrazia Cristiana c’era chi temeva ci fosse lo zampino degli americani, perché Moro era l’uomo del compromesso con il PCI e il compromesso con i  comunisti a Washington non era mai piaciuto. Gli americani riflettevano in effetti sulle conseguenze politiche del rapimento e dell’eventuale morte di Moro, ma il lavoro dell’ambasciata sembra essere quello di riferire a Washington il quadro dei movimenti della politica italiana più che essere interessati a questo o quell’esito del sequestro, che fin dall’inizio appare d’estrema rilevanza anche a loro, ma non come potrebbe essere stato se davvero gli Stati Uniti avessero temuto una destabilizzazione «rivoluzionaria» del paese.

L’UOMO CHE RISOLVE I PROBLEMI E COSSIGA –

L’aiuto più evidente e all’apparenza pregiato fornito dagli americani fu l’invio discreto e riservato di  Stephen Pieczenik, un uomo che aveva servito come Deputy Assistant Secretary of State and/or Senior Policy Planner sotto i Segretari di Stato Henry Kissinger, Cyrus Vance, George Schultz e James Baker. Uno che era stato il principale International Crisis Manager e Hostage Negotiator dis Kissinger e Vance. Specializzato nella liberazione e nel salvataggio degli ostaggi attraverso la trattativa, si trovò però ad operare in un contesto nel quale i due maggiori partiti dell’epoca avevano sposato la linea della fermezza e ripudiato ogni trattativa, almeno ufficialmente. La presenza di Pieczenik, inizialmente nota solo a Cossiga, provocò in seguito polemiche e ipotesi poco piacevoli.

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