Minniti sfida le Ong: «Siete libere? Allora portate i salvati in altri Paesi Ue»

04/06/2017 di Redazione

Farà discutere e scatenerà reazioni l’intervista del ministro dell’Interno Marco Minniti a Milena Gabanelli per il Corriere della Sera.

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Nel lungo dialogo su immigrazione, Libia e sicurezza Minniti fa il punto anche sulle Ong: «Io vorrei che una nave, una soltanto, si dirigesse in un altro porto europeo, certo non risolve i nostri problemi ma sarebbe il segnale di un impegno solidale dell’Europa. Io mi batterò per questo, perché è inaccettabile separare il momento del soccorso da quello dell’accoglienza, ed è un’ipocrisia dire: salvo una vita in mare, ma che fine fa poi quella vita è un problema di un solo Paese. L’Italia».

Tutta l’Africa subsahariana è in movimento; augurandoci di fermare le partenze dalla Libia, i flussi poi si sposteranno sulle coste egiziane, e al Cairo non abbiamo un ambasciatore.

«Sull’Egitto bisogna prima arrivare ad una piena cooperazione giudiziaria fra Roma e Il Cairo per trovare la verità sulla vicenda Regeni. Mi auguro che i rapporti diplomatici riprendano presto perché l’Egitto è un Paese cruciale, sia nei rapporti con la Libia, sia per l’immigrazione, sia per il terrorismo».
Parliamo dell’oggi: per le attività di soccorso al largo delle coste libiche sono nati sospetti che alcune ong possano avere legami con i trafficanti e ci sono indagini aperte. Lei che idea si è fatto?
«L’idea che bisogna aspettare le conclusioni, senza generalizzare o sottovalutare. Nel frattempo la commissione senato ha prodotto un documento che verrà tradotto in un progetto operativo su come le ong dovranno coordinarsi con la nostra guardia costiera».
Tante navi di nazionalità diverse (Panama, Malta, Paesi Bassi, Belize, Gibilterra) operano soccorsi in quella zona, ma tutte sbarcano i migranti in Sicilia, è un problema?
«Io vorrei che una nave, una soltanto, si dirigesse in un altro porto europeo, certo non risolve i nostri problemi ma sarebbe il segnale di un impegno solidale dell’Europa. Io mi batterò per questo, perché è inaccettabile separare il momento del soccorso da quello dell’accoglienza, ed è un’ipocrisia dire: salvo una vita in mare, ma che fine fa poi quella vita è un problema di un solo Paese. L’Italia».
Negli ultimi 2 anni sono nate associazioni che di mestiere fanno soccorso. Nelle pieghe della solidarietà si muove anche altro?
«Non do giudizi se non fondati su fatti; dovremmo però comprendere che la questione dei grandi flussi migratori impatta in modo molto forte sia sui sentimenti che sulla stabilità di un Paese. Le due cose vanno governate con scelte strategiche».
Intano in Italia sbarcano migliaia di persone, ad oggi il 30% in più rispetto all’anno scorso. Il sistema dell’accoglienza qui si appoggia tutto sul terzo settore, e non funziona. Non sarebbe ora di fare la scelta strategica di una gestione pubblica della prima accoglienza?
«Abbiamo puntato sulla ripartizione dei flussi in piccoli gruppi che mandiamo ai comuni in proporzione al numero degli abitanti, la gestione è affidata solo ad associazioni scelte con requisiti stringenti e piccoli appalti, per evitare infiltrazioni della criminalità. Abbiamo accorciato i tempi da 2 anni a 6 mesi per stabilire chi ha diritto a restare e chi no, e ridotto da 4 a 3 i gradi di giudizio».

(foto ANSA / LUIGI MISTRULLI)

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