Renzi perde la bussola: ora vuole rottamare le primarie.

Premessa: senza le primarie non esisterebbe Matteo Renzi. Senza le primarie, infatti, Matteo Renzi non sarebbe mai diventato sindaco di Firenze nel 2009. Diciamolo chiaramente: i vertici del Pd di allora, non pensavano a Matteo Renzi nemmeno come ipotetico candidato a primo cittadino del capoluogo toscano.

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A quell’epoca, nel 2009, i vertici dei partiti del centrosinistra si chiudevano in una stanza e, tra di loro, decidevano, anzi imponevano, il candidato della coalizione. Un candidato che – spesso – non trovava il riscontro degli elettori. Proprio questo provocò la “rivolta” di una parte della società civile, soprattutto quella vicina al centrosinistra, che si è battuta per “aprire” le segrete stanze dei partiti, dove tutto veniva deciso, per trasformarli in partiti aperti, partecipati. La risposta a questa esigenza fu il Partito Democratico, che, come vuole lo statuto, ha le primarie nel suo Dna. Tutti i segretari Dem sono stati scelti con le primarie. Compreso Matteo Renzi, che ora, apprendiamo dal colloquio con Gramellini su La Stampa, ne «chiuderebbe la stagione»·

renzi primarie

E’ un’evidente contraddizione quella di Matteo Renzi. Una contraddizione che lui giustifica parlando di un Matteo Renzi 1 – il Renzi della prima ora, ci verrebbe da dire, – e di un Matteo Renzi 2. Quello che è chiaro è che oggi Matteo Renzi non vorrebbe più le primarie.

Insomma, detto in soldoni, il Matteo Renzi 2 ucciderebbe il Matteo Renzi 1, il Rottamatore, in culla. Non gli avrebbe permesso di partecipare alle primarie di Firenze del 2009, e lo avrebbe costretto a fare un “secondo giro” da presidente della Provincia. Lo costringerebbe a “mettersi in fila”, con tanti saluti al talento.

Sarebbe ancora più facile ricordare a Matteo Renzi che nel 2012, all’epoca delle primarie contro Pier Luigi Bersani, lui è stato il paladino delle primarie aperte, delle primarie in cui tutti potevano partecipare. Era un Matteo Renzi poco istituzionale, molto “movimentista”, ma soprattuto Rottamatore.

Oltre alla contraddizione, c’è un’altra cosa che spaventa nelle affermazioni di Renzi di oggi. Cioè che Renzi, che a parole vorrebbe tornare quello del 2012, nei fatti rischia di diventare il nuovo establishment. Esattamente come i suoi predecessori, davanti alle sconfitte, il segretario del Partito Democratico rischia di scegliere di asserragliarsi nella sua torre d’avorio. Chiudere fuori i cittadini dalla cittadella del potere è – solitamente – la scelta meno indovinata per un politico.

Leggendo le dichiarazioni del Premier sembra che lui abbia “subìto” tutte le scelte sui candidati di questa tornata elettorale. Il che, oltre ad essere vero solo in parte, mette in evidenza anche gli errori commessi da Renzi nella gestione del Partito Democratico. Anzi, nella non gestione del partito.

Diciamolo chiaramente: ad oggi il Pd per Renzi è stato solo uno strumento per fare un doppio salto carpiato verso Palazzo Chigi. Dalla vittoria delle primarie del 2013 è derivata la legittimazione democratica ( e la maggioranza in direzione) che gli hanno consentito di diventare Presidente del Consiglio. Ma da quel momento ha smesso di occuparsi dei territori, come abbiamo già detto mesi fa. Il problema di Renzi sulle candidature è sopratutto legato al fatto che lui non controlla il partito perché non ha mai fatto un investimento serio, duraturo, sul partito. Il Renzismo, sin dal tempo delle primarie del 2012, è stato una sorta di simbolo dato in franchising, di cui chi ne condivideva i punti (inizialmente pochissimi, poi sempre di più), si è potuto fregiare, spesso in concorrenza con altri franchisor della zona. Sempre in concorrenza gli uni con gli altri, quasi sempre senza che il segretario democratico ne “eleggesse” uno come riferimento territoriale stabile

Quel che è certo è che il Renzi 1 e il Renzi 2 non andrebbero molto d’accordo. E che soprattuto il Renzi 1 cercherebbe di rottamare l’attuale segretario democratico senza se e senza ma.

Oltretutto, dire, come ha fatto Renzi che lui non ha detto una parola rispetto alle candidature della Moretti in Veneto o della Paita in Liguria strappa un sorriso nel migliore dei casi.

Capiamo la tentazione di Renzi di chiudere le primarie: via la gestione di ogni territorio,  chiuso ogni dialogo con la società civile, e imposizione del candidato «preferito da Roma» in ogni dove. Molto più semplice. Ma molto più anacronistico: per il partito democratico e per Matteo Renzi.

Matteo Renzi, di cui abbiamo avuto modo di apprezzare soprattutto il coraggio negli anni, dovrebbe rilanciare sulle primarie. Regolarle, ma mai rinunciarvi. Mai indicarle come un problema. Perché i problemi non sono quasi mai gli strumenti, ma il modo in cui essi vengono usati. E su questo aspetto che il Pd renziano deve lavorare, sulla limatura delle primarie. Anche perché riempirsi la bocca di «partito alla Obama», mentre si cerca di chiudere le primarie fa sorridere, perché a forza di illustrare un partito dei sogni, Matteo Renzi ancora non ci ha concretamente spiegato come lo immagina, come lo intente e come intende costruirlo. E, finché si oscilla tra i “luoghi ideali” di Fabrizio Barca (un partito che prevede un ricorso importante al finanziamento pubblico) e la suggestione del Partito Democratico americano che ha incoronato Obama alle primarie, si ha il legittimo sospetto che le idee siano un pochino confuse.

 

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