Matteo Renzi e il pressing per convincere Giuliano Pisapia a ricandidarsi a Milano

Matteo Renzi e il pressing per convincere Giuliano Pisapia a ricandidarsi a sindaco di Milano: sono partiti gli sherpa renziani, il presidente del Consiglio dei Ministri non ha alcuna intenzione di perdere una sfida simbolo nella città dell’Expo; e poco sembra contare il fatto che, in realtà, sia già partita la sfida delle primarie con l’assessore ai Servizi Sociali della giunta Pisapia, Pierfrancesco Majorino, che si è già candidato insieme al deputato Emanuele Fiano.

MATTEO RENZI E IL PRESSING SU GIULIANO PISAPIA

Secondo Maria Teresa Meli, che ne parla sul Corriere della Sera, l’avvocato indipendente molto vicino a Sinistra, Ecologia e Libertà è ancora molto alto nei sondaggi: e così, il presidente del Consiglio non vuole correre rischi.

Ciò che si capisce è che il premier che voleva assolutamente «piazzare il referendum confermativo, cioè una cosa mia, in abbinata con le amministrative del prossimo anno», per dare una spinta propulsiva a quelle elezioni, ormai ci ha rinunciato. Eppure quelle consultazioni sono importanti, talmente importanti, che su Milano il premier punta molto. La posta in gioco «è troppo alta». E la città simbolo è appunto il capoluogo lombardo. Tra i possibili candidati c’è Giuseppe Sala, commissario unico di Expo. Ma i vertici del Pd hanno dato mandato ai loro ambasciatori di aprire una trattativa con Giuliano Pisapia per convincerlo a ripresentarsi. Resta lui, secondo i sondaggi, il candidato con più chance.

E così, insomma, è partita l’improbabile operazione recupero di Giuliano Pisapia, che è già stato chiarissimo: la sua esperienza di sindaco è finita.

Intanto, tiene banco il dossier riforme. Quella costituzionale, è slittata: il premier ha “una strategia in mente”, ma per ora, dice, “non mostra le sue carte”.

Tanto non avremmo fatto in tempo comunque — ha spiegato Renzi ai collaboratori — e avremmo stressato inutilmente il Senato pure in agosto, come abbiamo già fatto nella stagione scorsa». Con la piccola — si fa per dire — differenza che nel 2014 la popolarità del premier oscillava tra il 65 e il 70 per cento e allora Renzi poteva permettersi di tutto. 
Ora non è il momento. Anche perché per la riforma costituzionale i voti c’erano, ma sempre sul filo del rasoio, grazie a Verdini e ai fuoriusciti di FI. Altre prospettive non ci sono: «Una riedizione del patto del Nazareno con Berlusconi non esiste». Non è su questo che punta Renzi. E nemmeno su un rinnovato accordo dentro il Pd sullo stile di quello che portò all’elezione di Mattarella per andare al compromesso con i bersaniani su tutto il resto. I mesi estivi verranno usati per lavorare a un accordo il più ampio possibile e per coinvolgere tutti, ma Renzi non si straccerà le vesti se i bersaniani, come al solito, diserteranno l’aula, o se Berlusconi tentennerà fino all’ultimo. Il premier attenderà pazientemente che FI si «sbricioli» ancora, come ha confidato ai fedelissimi o che la parte più responsabile della minoranza prenda atto che non si può tirare la corda fino a spezzarla. 

Allora molto meglio “usare il tempo estivo” per chiudere altri dossier, come la Rai, e la legge sulle unioni civili, un testo per parlare “al popolo della sinistra” e ricompattare i ranghi anche su un tema molto sentito, quale quello dei diritti civili sul quale il sottosegretario Ivan Scalfarotto sta facendo addirittura lo sciopero della fame.

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MATTEO RENZI, ENRICO LETTA: “SCONCERTATO DA TANTO SQUALLORE”

E ci sono, a preoccupare il premier, anche le intercettazioni su Enrico Letta, pubblicate ieri dal Fatto Quotidiano, in cui si riportano le parole dell’allora solo segretario del Pd che nel 2014 stava cercando la maniera migliore per liberarsi di chi riteneva “un incapace” alla guida del governo.

Nel frattempo, in un altro palazzo, a Montecitorio, si andrebbe avanti con due riforme importanti per il premier. Quella del processo penale, innanzitutto, che prevede anche il capitolo delle intercettazioni. Problema annoso quest’ultimo, che ha investito lo stesso premier, tirato in ballo dal Fatto per delle intercettazioni che, come si sottolinea al Pd, sono penalmente irrilevanti, e «scoprono l’acqua calda». Ossia svelano un piano che era su tutti i quotidiani di quei giorni.

Non che Enrico Letta, chiaramente, sia tornato dall’Australia particolarmente contento di quel che ha visto scrivere sul giornale diretto da Marco Travaglio. Ieri, dopo una giornata di silenzio, un singolo tweet.

Monica Guerzoni su Repubblica ha qualche parola in più captata dallo staff dell’ex vicepresidente del Consiglio.

«Sono rimasto sconcertato da tanto squallore» confida Letta ai suoi, mentre la notizia si impone tra le più commentate di Twitter. Per uno che è riuscito a tacere un anno intero dopo essere stato defenestrato da Palazzo Chigi, sconcerto e squallore sono due concetti a dir poco forti. «Ho pensato che siamo davvero finiti nello squallore alla House of Cards» è il giudizio di Letta sulla conversazione tra Renzi e il generale Michele Adinolfi, l’11 gennaio 2014. 

I progetti di Enrico Letta, ora, sono altrove.

Fondare tra Roma e Bruxelles una Scuola di politiche. «Una scuola piccola e artigianale» per ventenni di belle speranze, dove formare una classe dirigente nuova e virtuosa, immune dai mali di un «conformismo» che per lui fa rima con renzismo. La personalizzazione, l’uomo solo al comando, l’opportunismo, la corsa a salire sul carro del vincitore, il cinismo di chi «applaude quando tutto gira per il verso giusto, ma è pronto a voltarti brutalmente le spalle quando le cose precipitano»…  Il bando è scaduto il 30 giugno e l’ex premier si aspettava di ricevere un centinaio di domande. Sono invece arrivate 672 candidature da tutta Italia con tanto di video di presentazione, un’onda «impressionante e beneaugurante» che lo ha convinto ad aumentare il numero delle classi per ottobre. 

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