Quando Fatima era solo Maria Giulia per mamma e papà: «Quando veniamo mangi, devi ingrassare»

Quaranta minuti. Durano così tanto i file audio della polizia di Stato diffusi alla stampa per le intercettazioni che hanno incastrato la famiglia di Maria Giulia Sergio, la Fatima jihadista pronta al martirio in Siria. Odio, morte ai miscredenti ma non solo quello. Emerge il ritratto di una ragazza (fuggita col suo Aldo) che cerca di convincere, forzare, addestrare i suoi genitori. Maria Giulia e il “suo” Califfato. O perlomeno, quello che lei racconta ai suoi per convincerli a raggiungerla.

Il gatto da lasciare in Italia perché il viaggio è troppo lungo, la ricerca di una casa, il sogno di abbandonare tutto. “Vi regaleranno tutta la Siria”, dice Maria Giulia. “Wow!” risponde la mamma. Le chiamate via Skype della famiglia Sergio – esclusi gli aspetti relativi all’Isis – sembrano più le videochat con una figlia in Erasmus.

Ma quello che più colpisce, a sentire questi scambi, è la “diversità” fra il modo di comunicare di Maria Giulia e quello dei suoi, per i quali, almeno in questi nastri, la Jihad non esiste, non è nulla, e il viaggio in Siria è più il voler obbedire al capriccio della bambina, più della voglia di combattere per un Dio che è sempre meno importante del fatto che la piccolina dovesse mangiare abbastanza.

Ma quella piccolina non esiste più. Anzi. Fatima cercava di far lasciare il lavoro al papà. Lui – cassaintegrato da anni – tentenna, cerca di spiegarsi. «Mari… No, scusa, Fatima, ascoltami. Noi abbiamo i debiti. Volevo fare questo e ho cambiato idea. Pure la mamma non stava tanto bene». Lei urla. «Lì puoi lavorare quanto vuoi, ci sono campi da coltivare». Maria Giulia non ascolta. Loro devono seguirla nel Califfato. Arriva a minacciarli, se diventano infedeli non vorrà più bene loro. Li odierà. Così funziona la propaganda dell’Isis. Come nella migliore delle tradizioni, trasforma l’amore dei familiari in odio. In odio verso gli altri, questa volta. In sottomissione.

Mentre i media martellano sulle parole deliranti della foreign fighter, pochi si soffermano sulle parole del papà e della mamma. «Preparati per quando veniamo, che cucino e devi ingrassare», dice la mamma, forte accento del sud. Maria Giulia sorride, ma dura poco. «Ma poi – chiede la madre – quando arriviamo là te stai con noi?». «No mamma. Voi starete in un’altra casa. Perché secondo la sharìa io devo stare con la famiglia di mio marito». «Ma qualche volta puoi rimanere a casa nostra ah?», chiede lei in un soffio. Assunta ha un sogno: la casa con l’orto. «Faccio l’orto, la verdura e la vendo. Qualcosa lo diamo ai poveri e qualcosa lo vendiamo».

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Sergio e Assunta, finiti ora in manette, stavano per raggiungere Fatima e suo marito Said (Aldo). In un paese in guerra. Fra bombe e martirio. Ma in quegli audio sembrano prepararsi per una gita. Ricominciare da zero perché in Italia non c’era nulla da perdere. Ricominciare da zero perché in Italia non c’era più Maria Giulia. «Porto il corredo?», chiede ancora la mamma.

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Maria Giulia, la studentessa di biotecnologie alla Statale di Milano non c’è più. Non parla più della ricerca sul Parkinson ma della cura profetica e dell’olio d’oliva che guarisce tutti i mali. Ha appena passato la febbre e lì, in Siria fa freddo. C’è vento. «Mettiti una fascetta attorno al collo», gli suggerisce la sorella Marianna. Fatima per un attimo torna ad esser Giulia. «Vi voglio bene», dice chiudendo la chiamata su Skype. «Sei la nostra vita», gli risponde la mamma. Potrebbe esser la conversazione tipica di una ragazza appena sposata e trasferitasi nel paese del marito. Peccato che in mezzo c’è la furia islamista che inghiotte tutto nel nome del Califfato. Persino l’amore per i propri genitori.

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