Marco Cappato: «Fabo mi diceva: se non mi aiuti tu, uno che mi spara lo trovo»

28/02/2017 di Redazione

«Fabo mi diceva: guarda che conosco tutti nel quartiere. Se non mi aiuti tu, uno che mi spara lo trovo». A raccontarlo è Marco Cappato, il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni che da anni si batte per avere anche in Italia una legge sul fine vita e che ha accompagnato il 39enne cieco e tetraplegico Fabiano Antoniani in una clinica Svizzera per ricevere l’eutanasia.

 

 

FABO, MARCO CAPPATO: «RISCHIO IL CARCERE E PER QUESTO MI AUTODENUNCIO»

In un’intervista a Repubblica Cappato dice di essere pronto ad autodenunciarsi per aver aiutato Fabo a morire e spiega di averlo fatto proprio su richiesta di Fabiano. «Mi ha contattato – dice – perché non voleva che la madre e la fidanzata Valeria rischiassero 12 anni di carcere per aiutarlo ad uscire dalla gabbia che era diventata la sua vita». La legge prevede dai 5 ai 12 anni di carcere per omicidio del consenziente.

Con l’autodenuncia cosa accadrà?

 

«Lo Stato italiano avrà due scelte. O voltare ancora una volta lo sguardo, e così chi è ricco potrà continuare a pagare e morire tranquillamente in Svizzera mentre gli altri senza mezzi economici e possibilità continueranno a soffrire in Italia. Oppure lo stato decide di incriminarmi e si andrà a processo».

 

Il processo è un’occasione?

 

«Sì, sarebbe il posto giusto per parlare di libertà costituzionali, della possibilità di disporre del proprio corpo. E di un codice penale che oggi non fa distinzione tra sofferenza insopportabile e chi invece viene manipolato, istigato al suicidio».

 

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E su Fabo, Cappato dice:

«Mi diceva: guarda che conosco tutti nel quartiere. Se non mi aiuti tu, uno che mi spara lo trovo. Poi si è appassionato alla legge sul testamento biologico, a quella sull’eutanasia. Cose di cui non si sarebbe mai occupato senza quel tragico incidente. In fondo ha resistito qualche settimana in più pensando che con la sua testimonianza forse un domani avrebbe evitato ad altri il suo inferno».

In un’altra intervista, rilasciata al Messaggero, Cappato parla anche di politica ora senza alibi per l’approvazione di una legge sul fine vita:

«Ma l’ho fatto e lo rifarei – dice – perché la politica deve comprendere che il vuoto normativo porta all’illegalità».

 

Fino a che punto è giusto recarsi all’estero per morire?

 

«L’esilio della morte è una condanna incivile. Compito dello Stato è assistere i cittadini, non costringerli a rifugiarsi in soluzioni illegali. La politica questo deve capirlo. Chiediamo che il Parlamento affronti la questione del fine vita per ridurre le conseguenze devastanti che il vuoto normativo ha sulla pelle della gente».

 

Il caso di Fabiano potrà aiutare a trovare una soluzione?

 

«Siamo in piena “zona nera” fatta di clandestinità e soprusi. La strada è semplice: sostituire l’eutanasia clandestina con l’eutanasia legale. L’opinione pubblica è pronta, il Parlamento meno, ma almeno non ci si imbrogli con la guerra delle definizioni».

(Foto: ANSA / GIUSEPPE LAMI)

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