La rabbia della moglie di Marcello Dell’Utri: «Mio marito ha diritto o no a essere curato?»

13/12/2017 di Redazione

Chiedere la grazia al presidente della Repubblica? «Lui non la vuole, ma se fosse l’unica possibilità di salvargli la vita la chiederò». Risponde così all’ANSA Miranda Ratti, moglie di Marcello Dell’Utri a margine di una conferenza stampa nella sede del Partito Radicale. Dopo il no del tribunale di sorveglianza alla sospensione della pena per motivi di salute, l’ex senatore detenuto a Rebibbia ha annunciato lo sciopero della fame e delle cure. Dell’Utri è malato da tempo. Gli è stato diagnosticato il cancro e per ora non riceve le cure necessarie.

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«Mio marito è entrato in carcere con patologie pregresse molto forti, è stato operato tre volte, aveva il diabete già da 15 anni. Questo è stato messo in dubbio dal tribunale di sorveglianza, come se recitasse una commedia», afferma Miranda Ratti. «Il 20 luglio è stata fatta la diagnosi di tumore, e a oggi non è stato fatto niente», ha denunciato con la voce rotta. «Mio marito ha diritto o non ha diritto a essere curato?», sottolinea la signora Ratti, ricordando che «a seconda dei tribunali di sorveglianza, ci sono alcuni giudici che concedono le cure a casa anche a detenuti in 41bis. E il tribunale di Sorveglianza di Roma, a una persona nelle stesse condizioni di mio marito con un adenocarcinoma prostatico, ha concesso di sottoporsi per 5 mesi a una radioterapia in una struttura esterna. A mio marito, invece, si dice che questo si può fare in carcere». Il tribunale di sorveglianza ha decretato la compatibilità della sua prognosi con la detenzione in carcere. «Lui si ritrova a dover essere curato nell’infermeria del carcere, il cui responsabile ha già detto per ben due volte di non poterlo curare». spiega la donna. Le dichiarazioni del medico sono state, infatti, valutate dal tribunale di sorveglianza, assieme a due perizie di segno opposto, e ha comunque deciso di negare a Marcello Dell’Utri la sospensione delle pena per motivi di salute. «Si può fare ricorso in Cassazione – aggiunge la signora – ma i tempi sono lunghi e vi lascio immaginare quante volte può morire una persona». Miranda Ratti si rivolge, infine, ai parlamentari: «è vergognoso che un rappresentante delle istituzioni mandi un messaggio del tipo “sbattetelo in prigione e buttate via la chiave”».

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