La maledizione di Aaron Ramsey. Quando il web è stupido e basta

Il web, più di qualche volta, genera mostri. Libera il peggio della vita offline, ripropone e amplifica i pregiudizi più sguaiati, le manie più becere, i tic più cafoni. Concede spazio e una platea potenzialmente sterminata a voci che francamente non meriterebbero nemmeno di essere ascoltate dalle orecchie dei loro cari. Il sempre più anarchico spazio virtuale ha la capacità inoltre di narrare storie: intese non come accadimenti, racconti o gesta ma come millanterie, fandonie, balle. In una parola, cazzate. Così da anni il popolo dell’internez si racconta un grande classico, un evergreen che non smette di avere fortuna, e anzi allarga i suoi confini: la maledizione di Aaron Ramsey. «È vero, ci sono state occasioni in cui ho segnato e poi qualcuno è morto. Ma sono solo chiacchiere. Certo, ho fatto fuori anche qualche cattivo!», spiega il diretto interessato, centrocampista offensivo in forza all’Arsenal. Secondo la diceria 2.0 il gallese la butta dentro e il giorno dopo piangiamo un defunto eccellente: nell’ordine Bin Laden, Steve Jobs, Mu’ammar Gheddafi, Whitney Houston, Jorge Videla, Paul Walker, Robin Williams, Richard Attenborough. Gli ultimi due David Bowie e Alan Rickman, in seguito ai gol contro Sunderland e Liverpool.

Il fatto è che lo stereotipo risparmia tempo, ci rassicura. E siamo naturalmente e social-mente portati a rendere inoffensive quelle informazioni divergenti che ci metterebbero in crisi, tipo che Ramsey abbia segnato in carriera 45 volte e ci siano stati tantissimi ‘day after’ in cui non è morto nessuno. È sempre più facile trovare conferme che smentite ai nostri cliché. Perché nessuno ha mai fatto caso a chi lascia la vita terrena dopo i gol, che so, di Giaccherini? Perché nessuno ha mai verificato chi rimette le penne alle reti di Kagawa, Banega o Lucas? Messi e Ronaldo quante persone hanno sulla coscienza? Una volta innescato il meccanismo perverso, una volta stabilito che Ramsey porta sfiga, si entra in un circolo vizioso e non se ne esce più. E giù a ridere.

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Penserete: è una cosa tutta italiana. Un paese che ha dato i natali a Wanna Marchi, che va pazzo per l’oroscopo, che al ristorante non prenota se si è in 13, che se attraversa un gatto nero inchioda in mezzo alla strada, che non passa sotto le scale, può tranquillamente credere al fatto che un calciatore segni un gol e il giorno dopo un vip passi a miglior vita. Non è solo roba nostra però: oltre alle testate tricolori – alcune insospettabili in quanto molto autorevoli – la divertentissima e nuovissima storiella di Ramsey è stata riportata da molti giornali stranieri. E in Inghilterra i tifosi chiamano il malcapitato The Emirates Angel of Death.

È il web insomma a fare da collante, a fare da megafono: “coincidenze” simili vengono notate da sempre, tutti i giorni, nella vita quotidiana – per non tornare indietro alla caccia alle streghe, c’è chi in tempi molto più recenti e anche senza una connessione a internet ha rovinato l’adolescenza, magari la carriera o addirittura la vita stessa a tante persone, da noi Mia Martini rappresenta la storia più tragica – ma ora schermi e tastiere hanno dato nuova vita alle superstizioni, alle boiate e alle bufale più disparate.

Nel nostro piccolo sogniamo Ramsey gonfiare la rete, magari di sinistro, in una partita giocata di venerdì 17. Togliersi poi la maglia e mostrare la scritta: «It’s not true, and I don’t believe it».

Photocredit copertina Paul Gilham/Getty Images

 

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