A Foggia c’è una guerra, ma fino a ieri non lo sapeva (quasi) nessuno

10/08/2017 di Donato De Sena

Trecento omicidi di mafia dagli anni ’70 ad oggi, l’80 percento dei quali impuniti, 35 negli ultimi due anni, almeno 17 da inizio 2017. Basta qualche cifra per capire quanto la criminalità organizzata della provincia di Foggia, per la spartizione di territorio e affari illeciti sappia essere violenta e sanguinaria. I numeri, diffusi dal procuratore distrettuale antimafia di Bari Giuseppe Volpe e dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti dopo l’agguato nelle campagne di San Marco in Lamis, descrivono meglio di ogni racconto quanto i clan attivi nell’area, dal capoluogo al Gargano, nell’alto e basso Tavoliere, siano riusciti a penetrare nel tessuto economico e sociale.

I CLAN A FOGGIA E PROVINCIA

I fatti di ieri, l’uccisione di un boss (Mario Luciano Romito) e del cognato che gli faceva da autista (Matteo De Palma), e di due contadini testimoni innocenti del delitto (Luigi e Aurelio Luciani), hanno semplicemente acceso i riflettori su una situazione allarmante che finora lo Stato non ha saputo contrastare adeguatamente e i media hanno evitato di evidenziare. Il quadro era però fin troppo chiaro, a sfogliare le cronache degli ultimi mesi o qualche autorevole rapporto.

 

mafia
(Mappa dalla relazione del Ministero al Parlamento sull’operato della Dia nel secondo semestre 2016)

 

L’ultima relazione semestrale della Dia, relativa alla seconda parte del 2016, presentata a fine luglio, parla di uno scenario criminale nella provincia di Foggia complesso e instabile, caratterizzato dalla notevole frammentazione dei clan e dall’assenza di un organo decisionale condiviso. Proprio la mancanza di un’azione unitaria, rileva la Dia, «potrebbero essere alla base dei precari equilibri all’interno delle singole organizzazioni». Viene poi segnalata la possibilità diffusa per i clan di attingere alle giovani leve, che vengono reclutate con ruoli marginali come la custodia di armi e droga, e un contesto ambientale omertoso, determinato anche dalla matrice familiare che contraddistingue i vari gruppi. Due fattori particolarmente forti nel Gargano, area dove si nota «la presenza di gruppi a forte organizzazione verticistica, basati essenzialmente su vincoli familiari e non legati tra loro gerarchicamente», «l’ascesa delle giovani leve desiderose di colmare i vuoti determinati dalla detenzione di elementi di spicco della mafia garganica, in particolar modo appartenenti al clan dei Montanari», e in più «la vicinanza geografica ad altre realtà mafiose, come quella foggiana e cerignolana».

Una descrizione alla quale aggiungere i nomi e i cognomi. La mappa della Dia puntualmente indica i clan operanti nei singoli comuni. La più recente indica i Romito a Manfredonia, i Gentile a Mattinata, i Li Bergolis (rivali dei Romito) e gli Alfieri-Primosa-Basta a Monte Sant’Angelo, nella stessa zona i Ricucci, i Notarangelo-Frattaruolo a Vieste, i Prencipe a San Giovanni Rotondo, i Di Claudio-Mancini a Rignano Garganico. L’elenco è lungo. Per combatterli lo Stato deve ricominciare dalla sottovalutazione del fenomeno e da una macchina investigativa ancora da mettere completamente in moto.

LA LOTTA AI CLAN DI FOGGIA CHE VERRÀ

«Oggi – ha spiegato il procuratore Roberti – lo scontro si è acceso attorno al traffico di stupefacenti, in particolare di droghe leggere dall’Albania. Un affare colossale che scatena gli appetiti dei clan e che investe, partendo dal foggiano, tutta la dorsale adriatica fino all’Europa. La mafia foggiana è una costola della camorra napoletana. Negli ultimi tempi sono state rafforzate le strutture investigative sul territorio e credo che si procederà oltre. Ad aprile scorso è stata aperta una sezione del Ros a Foggia che mancava, la procura distrettuale di Bari si prodiga moltissimo per coordinare le indagini».

Non basterà. Sarà opportuna anche una buona cooperazione internazionale per fermare un fiume di droghe leggere che arrivano dall’Albania, e che rappresentano il vero motivo delle faide. «Siamo andati in Albania nei mesi scorsi – ha proseguito Roberti – a chiedere cooperazione, abbiamo incontrato a Roma il Ministro degli Interni albanese che ha promesso maggiore collaborazione. Bisogna vincere l’omertà e per farlo bisogna creare una cultura della legalità che in quel territorio è ancora molto latente». Un lavoro complicato. Non solo per un triste precedente (l’ultimo pentito a Foggia risale al 2007). Ma anche perché «per avere collaborazione bisogna dimostrare che si incide efficacemente con le indagini e per questo servono più presidi di polizia, più professionalità nelle forze di polizia». L’unico vero modo per fermare la conta dei morti.

(Mappa dalla relazione al Parlamento sull’operato della Dia nel secondo semestre 2016)

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