Mafia Capitale, Massimo Carminati era un “dipendente” di Salvatore Buzzi

13/01/2016 di Redazione

Mafia Capitale, Massimo Carminati era il boss? Nemmeno per sogno: era un semplice dipendente della cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi. O quantomeno, questo è quello che la presunta organizzazione criminale voleva far credere. E così risulta dagli atti che la procura di Roma ha ieri depositato in cui si dimostra, appunto, il tentativo di “tiro maldestro” che il duo Buzzi & Carminati voleva realizzare per distogliere i sospetti sull’ex terrorista dei Nuclei Armati per la Rivoluzione e della Banda della Magliana.

MAFIA CAPITALE, MASSIMO CARMINATI VOLEVA PASSARE PER “DIPENDENTE” DI BUZZI

Sul Messaggero le ultime dall’aula bunker di Rebibbia.

Non un boss, ma un lavoratore disagiato. A novembre 2014, a un mese dall’arresto, il capo di Mafia Capitale, Massimo Carminati aveva provato a trasformare il suo ruolo di socio occulto di Salvatore Buzzi, ras delle coop e ponte con la politica corrotta. Facendosi assumere per tentare di ripulire la sua immagine in quella di un semplice socio lavoratore. Paga mensile, 1.699 euro. Otto ore di lavoro al giorno. Inquadramento terzo livello. Mansioni, addetto alla vendita della coop 29 Giugno. La documentazione sulla assunzione di facciata del “Cecato” è la carta calata ieri dalla procura per provare in aula i raggiri ritenuti maldestri di Carminati e Buzzi. Un’udienza chiave in cui il pm Luca Tescaroli, non si è limitato a depositare i nuovi atti, ma ha cercato di dimostrare il ruolo di intimidazione dell’ex Nar, soprattutto nelle estorsioni.

 

Nelle intercettazioni depositate, altri spaccati di vita criminale nel Mondo di Mezzo, ai danni di imprenditori e di cittadini finiti nelle grinfie del sistema.

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A ricostruirle per ore, brogliacci delle intercettazioni alla mano, l’ufficiale dei Ros Giorgio Mazzoli. «Noi non semo più gente che potemo fa cose del genere pe du lire», diceva Carminati dalla pompa Eni di corso Francia, divenuto il quartier generale della banda. E’ là che si incontra con Riccardo Brugia, suo alter ego, col picchiatore del gruppo Matteo Calvio, e col padrone della pompa Roberto Lacopo, che gestisce l’attività di usuraio. Ed è proprio Carminati e company che Lacopo, detto Bobo, fa entrare in ballo quando non riesce a riscuotere assegni e cambiali. Come per i fratelli Prudente, gestori di un bar a Ponza. Brugia allora comincia a pressarli e mentre quelli cercano di evitare appuntamenti lui si sfoga col boss: «Che me vojono scappà? Stanno su un’isola, mica vojono annà in America… A me al massimo me mannano bevuto ma…». «Mo glielo dico a Bobo. Gli dicesse quando andiamo a fare il passaggio del bar. Dividiamo al cinquanta per cento. Diventiamo soci». Carminati sembra entusiasta: «Magari prendersi il bar. Uno c’ha pure la scusa. Vado tre mesi a Ponza». Calvio con un imprenditore che tarda a pagare è ancora più esplicito: «Non sgarrà, senno te taglio la gola. T’ammazzo a te e ai tuoi figli». Una nuova informativa del Ros, intanto, ha incastrato ulteriormente la banda sullo stesso fronte. Il taglieggiato stavolta è un camionista di Vigna Stelluti debitore di Bobo. Brugia lo terrorizza. Lo convoca al bar e lo minaccia insieme agli altri. E poi lo avverte: «Se mi chiami un’altra volta per cognome mi alzo e ti uccido. A me le guardie mi chiamano per cognome». Carminati condivide l’approccio: «A me mi piace buttarli giù proprio, capito? Buttarli giù psicologicamente»

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