Il catfight fra Daniele Luttazzi e Andrea Scanzi sul Fatto Quotidiano

Daniele Luttazzi non usa mezze misure per rispondere all’articolo sulla satira in tv a firma di Andrea Scanzi pubblicato il 30 gennaio dal Fatto Quotidiano. Dalle colonne del quotidiano diretto da Marco Travaglio (e dal suo blog) il comico romagnolo critica il giornalista definendolo un «Mogol dei coccodrilli», autore di pezzi con «la forma e la sostanza di un necrologio», pezzi caratterizzati da «kitsch sentimentale» che «si compiace del patetismo». Scrive Luttazzi:

Conosco Andrea Scanzi da quando era un giovane giornalista di belle speranze che scriveva di musica sul Mucchio Selvaggio e seguiva tutte le date toscane dei miei tour. Lo ricordo, con la dolce Linda, ospite squisito nella loro bella villa di Rigutino (AR). Un giorno mi chiese se potevo scrivere la prefazione al suo primo libro di racconti. In tono affettuoso, la mia introduzione parodistica sgamava un difetto di Andrea che, purtroppo, col tempo è peggiorato: il kit sch s entim enta le. Luogo classico della retorica bassa, il kitsch sentimentale si compiace del patetismo, ed è l’errore artistico che vizia la cultura popolare, cui reca successo: ne originano quegli aspetti ridicoli che sono eufemizzati dal gusto camp (Luchino Visconti che guarda Sanremo per sghignazzare con gli amici). Tollerabile nella cultura di massa, il kitsch sentimentale diventa, quando contagia un giornalista, una vera disgrazia: non per lui, che ne lucra consensi facili, ma per i suoi lettori. Forma e sostanza dei suoi pezzi, infatti, ne vengono così influenzati che la realtà raccontata non corrisponde più al vero.

LUTTAZZI CONTRO SCANZI: «PEZZI CON FORMA E SOSTANZA DI NECROLOGIO»

Luttazzi racconta di un modello specifico di Scanzi per esaltare e denigrare:

Ogni pezzo di Andrea Scanzi ha la forma e la sostanza di un necrologio. Non solo quando si occupa di grandi artisti defunti che non hanno alcun bisogno della sua commemorazione commossa (Gaber e De André, da lui usati come vetrina per sonale come Koons ha fatto con Piazza della Signoria), ma soprattutto quando prende di mira fenomeni ancora vivissimi, di cui descrive una decomposizione che solo lui vede, e che non c’è. Il modello, che una volta notato diventa stucchevole (la stucchevolezza è il principale indizio di kitsch sentimentale), è sempre lo stesso: X, che una volta era un grande, ora non lo è più. Variante: anche se ora non lo è più, X era un grande. Il modello gli serve per denigrare, la variante per esaltare; ma l’effetto ricercato è sempre lo stesso: il kitsch sentimentale.

LUTTAZZI CONTRO SCANZI: «TONO SPESSO PATERNALISTICO»

Come esempio del modus operandi di Scanzi Luttazzi ricorda due articoli del giornalista, uno dei quali intitolato ‘Benigni, quel che resta di lui’:

Andrea comincia accusando Benigni di incoerenza: “Voterà sì al referendum che vuole sancire lo sfascio della Costituzione, lui che faceva sermoni sulla sacralità della Costituzione”. È un errore di ragionamento piuttosto comune: la petizione di principio. Che il referendum sfasci la Costituzione, infatti, lo sostiene Scanzi. Benigni la pensa diversamente. Non c’è incoerenza. Posati i binari della premessa fallace, Andrea può farvi procedere il suo solito trenino a due vagoni. Nel primo, fa sedere l’artista che una volta gli piaceva; nel secondo, l’artista di oggi, che non gli piace più. Al suo fermodellismo manca il treno in cui l’artista evolve secondo criteri propri, non quelli scanziani, e quindi il lettore non può giungere ad altre destinazioni. Come se non bastasse, il tono del capostazione Andrea è spesso paternalistico (“voglio essere buono”): ma considerarsi superiori agli artisti è un pregiudizio giornalistico piuttosto diffuso, e non si possono addossare a uno le colpe di tutta una categoria. Sostenere però che un artista, siccome non la pensa più come te, non è più un grande artista, è un salto logico da purismo grillino.

LUTTAZZI CONTRO SCANZI: «CONFONDI LA REALTÀ CON QUELLA CREATA DAI MEDIA»

Luttazzi, infine, risponde anche a quanto dice Scanzi sul suo conto. Il giornalista sul Fatto ha scritto: «Il satirico si è sostituito al politico (…) situazione anomala e scivolosissima che ha visto negli anni smarrirsi lo stesso Luttazzi, tornato in tv con il monologo strepitoso a Raiperunanot te (2010) e poi inciampato nella querelle plagio e in un ostinato mutismo rancoroso che fa male tanto a lui quanto a noi». Il comico scrive oggi:

Non commettere anche tu l’errore di confondere la realtà vera con la realtà creata dai media. È il caso della querelle plagio. Dopo quel monologo che denunciava l’inciucio bipartisan, alla minimizzazione seguì una campagna stampa diffamatoria che strumentalizzava falsità diffuse in Rete da anonimi incompetenti. Non c’era alcun plagio, né i comici stranieri gentilmente informati dai diffamatori mi hanno fatto causa. (…) Parlare ancora, dopo sei anni, di generica querelleplagi, è un modo per continuare la gogna a mezzo stampa, parandosi il culo. Continua pure. Se però vuoi approfondire davvero la materia, nelle mie interviste sul Fatto trovi tutti i riferimenti utili. Scoprirai, fra l’altro, che uno dei responsabili di quel killeraggio ha confessato la mascalzonata (nascosero la parte rilevante della vicenda per darmi del disonesto) e mi ha chiesto perdono. Che bella storia, eh? Puro kitsch sentimentale. Buon appetito.

(Foto di copertina da archivio Ansa)

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