Libia, cosa succede: ancora morti per l’aeroporto di Tripoli

Libia, la battaglia per l’aeroporto di Tripoli va avanti da tre settimane e non dimostra di voler cessare: mentre tutti i riflettori sono puntati su ciò che accade fra Israele e Gaza, sono anche altri i teatri di guerra e di scontro nel medio oriente. C’è la Siria, che da sola sta mietendo più morti del teatro vicino Orientale, e la Libia, che dalla cacciata di Gheddafi, avvenuta nel 2011, è sostanzialmente senza quella pace e quella stabilità che tutti, a parole, dicono di cercare.

LIBIA, OCCIDENTALI EVACUATI – Le ultime notizie raccontano di cittadini di stati occidentali in fuga precipitosa dal paese nordafricano: la HMS Enterprise, scrive Al Jazeera, ha caricato 110 cittadini inglesi, in maggior parte, e altri occidentali, dal porto di Tripoli allontanandoli da quelli che risultano essere “pericoli alla sicurezza ormai insopportabili”. Da tre settimane, infatti, le milizie dell’Operazione Dignità del colonnello Khalifa Haftar e quelle islamiste dei Fratelli Mussulmani in Libia si scontrano in una lotta senza quartiere per il controllo dello scalo aereo, e quindi del traffico dei cieli, della capitale libica. Tutto intorno, la popolazione civile della città è stretta in una morsa soffocante senza via d’uscita, mentre il neoeletto parlamento libico si incontra fuori dalla capitale e tenta di capire il da farsi, nell’impossibilità da parte della comunità internazionale di fare alcunché per lavorare per una soluzione, o anche solo per uno sblocco, della situazione.

LIBIA, 22 MORTI- “Domenica”, dice Al Jazeera, “la lotta per il controllo dell’aeroporto ha ucciso 22 persone e i depositi di petrolio colpiti hanno causato incendi giganteschi in città”. Gruppi “pesantemente armati”, hanno bersagliato “obiettivi civili” mettendo a rischio “migliaia di cittadini e lasciando centinaia di famiglie sfollate”. In città si affrontano i ribelli islamisti provenienti dalla città di Misurata, “in larga parte miliziani che hanno favorito la caduta di Gheddafi, sostenuti dalle bombe della Nato” e le truppe radunate dal colonnello Khalifa Haftar, truppe genericamente anti-islamiche chiamate a raccolta per la cosiddetta “operazione Dignità”. Karim Mezra, analista e studioso di Medio Oriente, sintetizza il recente sviluppo in Libia con poche, chiare parole.

Le radici della crisi risiedono nella lotta interna al nuovo Congresso Nazionale Generale. I Fratelli Mussulmani da un lato e l’Alleanza delle Forze Nazionali dall’altra hanno combattuto contendendosi il potere politico. Nel maggio 2013 c’è stato un punto di svolta quando il CNG, sotto minaccia fisica da parte di milizie islamiste, ha approvato la Legge di Isolamento Politico, che ha escluso la leadership dell’AFN e molti altri dall’acquisire carihe politiche. In risposta, molti membri non islamisti del CNG hanno boicottato il processo politico, cedendo così terreno agli islamisti di minoranza.

Il governo di Ali Zeidan, nel tentativo di superare la “perdita del braccio legislativo”, ha iniziato una strategia di divisione degli islamisti, “cooptando i moderati e marginalizzando i radicali”.

LIBIA, CHI E’ KHALIFA HAFTAR – Strategia sconfessata dall’Operazione Dignità di Khalifa Haftar. L’ufficiale dell’esercito libico, molto discusso per i suoi passati, veri o presunti, legami con la Cia, nel 2011 è tornato in Libia per aiutare il suo paese a rovesciare Gheddafi ed è stato nominato numero 3 delle forze armate dal Consiglio Nazionale di Transizione. Haftar si è poi inserito come un cuneo negli sforzi di pacificazione del traballante governo libico, chiamando a raccolta tutte le forze laiche contro gli islamisti: “E’ riuscito a raccogliere un vasto supporto – dagli attivisti dell’AFN, dai laici, dai cittadini comuni – a causa dell’esasperazione assoluta del pubblico dopo un anno di continue uccisioni di ufficiali di sicurezza, figure politiche, giornalisti e civili innocenti”, realisticamente realizzate da estremisti islamici. Il resto è storia recente: pressati da un movimento armato, anche le forze islamiche moderate si sono radicalizzate, combattenti che issano la bandiera nera sono giunti da Misurata e si è dato il via ad un’ampia guerra civile che ha come principale teatro di scontro proprio l’aeroporto della capitale libica.

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LIBIA, BATTAGLIA PER L’AEROPORTO – Secondo l’analisi, l’aeroporto è vitale per due motivi: gli islamisti vogliono innanzitutto sottrarre ai loro avversari – le milizie anti-islamiche di stanza a Tripoli – un obiettivo strategico e isolarle, “lasciando operativi solo due aeroporti minori controllati dagli islamisti”; in secondo luogo, l’idea è “sollevare abbastanza rumore da prevenire il funzionamento regolare del parlamento neoeletto”. E in effetti, il nuovo Congresso Generale si è insediato nelle scorse ore presso la città costiera di Tobruk, dopo la destituzione del precedente organo legislativo, dichiarato decaduto dall’Armata Nazionale Libica – il nome che Haftar ha dato alle forze a lui fedeli. Le successive elezioni si sono tenute il 25 giugno e hanno visto l’affermazione delle forze laiche, con quelle mussulmane e islamiste scese “a solo 30 seggi”. “La Libia non è uno stato fallito”, ha detto il neoeletto parlamentare Abu Bakr Baeira; la speranza di tutti è che il nuovo organo legislativo riesca a riprendere il controllo del paese, ma senza l’aiuto della comunità internazionale la speranza sembra davvero labile.

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