L’Eni (e Matteo Renzi) alla conquista dell’Africa

Nel primo giorno della visita ufficiale di Matteo Renzi nell’Africa subsahariana, l’Italia ha stretto importanti accordi con il Mozambico il cui leader, Armando Guebuza, ha invitato nel suo paese il nostro Presidente del Consiglio già lo scorso due aprile. Renzi, ripercorrendo il rapporto tra i due paesi, nato negli anni ’90, ha dichiarato di sentirsi a casa e che il futuro è tutto di un Mozambico appunto che cresce ed investe. Ed a crescere sarà anche la presenza italiana, visto che Eni è pronta ad investire qualcosa come 50 miliardi di euro in attività nel Paese.

(Lapresse)
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LA SODDISFAZIONE DI MATTEO RENZI – «Oggi vediamo – ha detto il presidente del Consiglio – un paese che cresce forse più di altri in Africa e investe sul futuro. Si pensa alla pace come slegata dalla situazione economica e dalle capacità politiche. La storia del Mozambico spiega invece che un percorso di pace si può fare se c’è la possibilità di creare occupazione e sviluppo e con la possibilità politica di non arrivare quando è tardi, gestendo con lungimiranza un percorso». Anche il Presidente mozambicano Armando Guebuza ha voluto sottolineare i rapporti di amicizia e dialogo tra i due paesi e l’impegno italiano in investimenti e costruzioni come le dighe.

I PROGETTI DI ENI – «Il Mozambico – ha sottolineato il presidente del Mozambico – ha risorse importanti di carbone e gas e l’italiana Eni è presente con un grande progetto. Il Mozambico si sta consolidando come paese sicuro per gli investimento e il nostro governo continuerà a garantire la semplificazione per investimenti nell’energia, nel turismo e nell’agricoltura e ci fa piacere che l’Italia ci abbia scelto come punto di riferimento». Presente all’incontro anche l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, che ha definito l’Africa «una diversificazione a livello energetico» e «una diversificazione a livello energetico».

IL FUTURO DELL’ITALIA IN AFRICA – Per Descalzi «c’è la Russia, ci sono gli Stati Uniti ma l’Eni, come società italiana ha trovato moltissimo in Africa, non solo in Mozambico ma anche in Angola, in Congo, in Ghana abbiamo una situazione per la nostra sicurezza energetica su un corridoio che non è più est-ovest ma nord-sud». Descalzi ha continuato sottolineando come l’Italia, già presente in Africa, possa trovare qui molte opportunità per le sue aziende: «Avete visto che con la delegazione di Renzi ci sono moltissime società italiane. È chiaro che lavorano già e che possono trovare impegni importanti. Si tratta di società che hanno tecnologie e competenze e che hanno dimostrato il loro valore in paesi africani».

 

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IL NODO DELLA RAFFINERIA DI GELA – Quindi la visita ufficiale di Matteo Renzi in Africa si sta trasformando in un successo. Certo però i problemi italiani non spariscono. E rimanendo in tema energia, il nostro Paese deve ancora sciogliere il nodo legato alla raffineria di Gela, un problema importante sopratutto per la stessa Eni che prepara un maxi investimento nel Continente Nero. Descalzi però rassicura gli operai e l’indotto legato all’impianto: «Non abbiamo intenzione di andare via da Gela. L’intenzione è di investire nell’area circa 2 miliardi in diversi progetti, ma non di accedere agli ammortizzatori sociali né di chiedere contributi al governo». In sostanza il progetto, come confermato dal deputato Ncd Alessandro Pagano, è quello di riconvertire l’impianto in una bio raffineria. E questa, secondo il politico, non è la soluzione alla crisi della raffinazione a Gela e di tutto il sistema di raffinazione di Eni.

IL FUTURO DEGLI IMPIANTI ITALIANI IN BILICO – «Convertire lo stabilimento Eni di Gela in bio raffineria – spiega Pagano significherebbe, infatti, da un lato dimezzare i dipendenti e l’indotto, dall’altro creare tutti i presupposti perché questa raffineria non giochi più in squadra con le altre raffinerie Eni, indebolendole ulteriormente. I tecnici confermano che a Sannazzaro l’impianto EST sta funzionando bene e che potrebbe essere la soluzione ottimale. La seconda bio raffineria potrebbe essere realizzata a Livorno, anch’essa condannata a chiusura, continuando così a lavorare. Appare quanto mai indispensabile oggi fare quadrato su questi grandi progetti di innovazione per rilanciare la raffinazione e dare al nostro Paese un ruolo di leader a livello mondiale».

A TUTELA DELL’INDUSTRIA ITALIANA –  «Attualmente Eni investe in quattro anni 40 miliardi di euro ed uno solo nella raffinazione -conclude Pagano- e i risultati, pessimi, di questa strategia industriale sono sotto gli occhi di tutti. Occorre chiedersi cosa accadrebbe se ne investisse due. A questo punto, è del tutto ragionevole pensare che l’opposizione alla raffinazione sia di ordine ideologico e dovuto ad un management incapace e senza visione industriale. Dobbiamo dunque intervenire – conclude Pagano – per evitare che la concorrenza si appropri del nostro know how e ci preceda. In altre parole, serve un grande gioco di squadra a livello politico e sindacale che il nostro ‘azionista di maggioranza’ dovrà mettere in atto se non vorrà deindustrializzare il Paese condannandolo all’esclusione da questo importante patrimonio tecnologico»-

L’INQUIETUDINE DEI SINDACATI – Quindi l’Eni da un lato va in Mozambico alla ricerca di nuovi mercati investendo 50 miliardi in Mozambico, rischia di mettere in pericolo il lavoro nel Sud Italia, in particolar modo a Gela. Almeno, questa è la lettura dei lavoratori che da due settimane presidiano le vie d’accesso allo stabilimento siciliano. E queste sono le parole dei lavoratori che si dicono non più fiduciosi nei confronti della dirigenza: «Ormai, per l’Italia, il Sud conta meno del terzo mondo, infatti l’Eni a Gela vuole chiudere la raffineria mentre va ad investire 50 miliardi in Mozambico». Emilio Miceli, segretario nazionale dei lavoratori dell’energia, petrolio e gomme, della Filctem-Cgil, dice di non fidarsi più delle promesse dell’azienda mentre Maurizio Castania, segretario territoriale della Uilcer di Caltanissetta, ripreso dall’Ansa conferma che «il fronte di lotta non arretra di un millimetro: si sciopera e si manifesta il 28 luglio a Gela coi segretari nazionali Susanna Camusso (Cgil) e Paolo Pirani (Ultec-Uil), si sciopera in tutta l’Eni e si manifesta a Roma il 29, mentre i blocchi continuano». (Photocredit copertina Fabio Cimaglia / LaPresse)

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