I segreti delle prigioni degli americani

14/05/2013 di Mazzetta

Il sistema carcerario americano è un business che non è facile smantellare.


NUMERI RECORD – Il primo gennaio del 2008 un americano adulto su 100 era in prigione, mentre 7 su 100 erano in qualche modo sottoposti a qualche misura cautelare, la percentuale degli incarcerati è 10 volte quella italiana e rappresenta un caso unico in tutto l’Occidente e forse anche nel mondo. Ad alimentare questa voragine che inghiotte quasi un milione e mezzo di americani con costi sociali ed economici elevatissimi, hanno contribuito in particolar modo le politiche repressive informate alla tolleranza zero varate negli anni ’80, in particolare contro il traffico, il possesso e il consumo di sostanze stupefacenti. Il calo registrato negli ultimi anni non ha risentito tanto del calo generalizzato dei crimini violenti, quanto della decriminalizzazione strisciante del consumo di marijuana, che in molti stati ha sottratto la materia prima a un sistema giudiziario che sembra costruito per riempire le carceri.

IL PROFILO – Nel 2008 se un adulto ogni 31 era in carcere o sottoposto a misure cautelari, erano uno su 18 tra gli uomini e una su 89 tra le donne, uno su 11 afroamericano, uno su 27 ispanico e solo uno su 45 caucasico. La “guerra alla droga” ha fatto vittime soprattutto tra la popolazione nera e tra i minori, circa 100.000 sono in prigione, oltre il 90% dei detenuti è maschio. Robuste le differenze da stato a stato, con tassi d’incarcerazione che dal Maine alla  Louisiana, si moltiplicano fino a cinque volte.

UNA GRANDE VARIETA’ – La difformità tra uno stato e l’altro si riflette anche nella filosofia carceraria in senso stretto, con un fiorire d’esperienze molto vario, dove però la fantasia sembra essere stata indirizzata in senso afflittivo al punto che il sistema carcerario è diventato luogo di somministrazione dolosa o involontaria di pene che eccedono la semplice restrizione della libertà. A complicare le cose ci si è messo l’emergere della privatizzazione dei servizi carcerari, con ovvi conflitti d’interesse tra chi deve riempire le carceri e chi dovrebbe custodire i condannati rispettandone i diritti riconosciuti loro dalla costituzione. Sotto questo aspetto assume grande rilevanza il fenomeno dell’impiego dell’isolamento come misura afflittiva supplementare. Un fenomeno che non riguarda solo le carceri di massima sicurezza, ma che sull’onda di una misura intesa come precauzione per evitare che i membri delle gang s’affrontino in prigione, si è esteso clamorosamente portando in molti stati al confinamento di un gran numero di prigionieri, che in isolamento ci possono finire anche per violazioni al regolamento e altre insubordinazioni, facili da imputare e non sottoposte ad alcuna verifica giudiziaria.

MECCANISMI PERVERSI – Essere duri con il crimine paga sempre in termini elettorali e paga anche in termini economici, come hanno rivelato alcuni scandali, il più devastante dei quali ha visto alcuni giudici corrotti al soldo di un’azienda penitenziaria, condannare abusivamente migliaia di minori alla detenzione gonfiando i profitti dell’azienda e i propri conti correnti. Uno scandalo che ha illuminato i pericoli e i limiti della privatizzazione delle carceri, ma che ha anche aperto il dibattito su un sistema che tutti gli esperti considerano fallimentare e costosissimo, ma che nessuno ha la forza di riformare, così come accade per la stessa war on drug, già ripudiata da anni a tutti i livelli istituzionali, eppure reiterata come se niente fosse fino a costituire conflitti di giurisdizione tra le autorità statali che ad esempio legalizzano la marijuana medica e le autorità federali che fanno strage di “dispensari” che la somministrano e spesso spediscono nella carceri di massima sicurezza persone per le quali non si capisce l’esigenza.

STORIE ESEMPLARI – L’ADX di Florence, carcere di massima sicurezza sulle Montagne Rocciose in Colorado, è un po’ il totem dell’approccio irrazionale e punitivo adottato in molti stati. Ospita 490 maschi, tutti in isolamento 23 ore al giorno senza il permesso di parlare ad altri denenuti, conosciuto anche come “la versione pulita dell’inferno”. Lì, in celle “modello” quanto piccole e con le finestre bloccate e schermate, trascorrono gli anni e i decenni i detenuti condannati per gravi crimini o considerati pericolosi, tutti sempre e solo vestiti nell’uniforme prescritta.  e  hanno di recente completato per Mother Jones un’inchiesta sulle dieci peggiori prigioni d’America, dalla quale emerge prepotente il problema rappresentato dalla sistematica erogazione dell’isolamento. Proprio l’esperienza dell’isolamento subito durante la detenzione in una cella iraniana, è riferita a margine da Shane Bauer, , e  che spiegano come i mesi trascorsi in quella condizione abbiano lasciato loro segni ancora indelebili.

INCIVILE – La detenzione in isolamento non sarebbe però ammissibile, se non fortemente motivata  e per un tempo limitato, perché l’isolamento ha effetti noti e devastanti sulla psiche umana e quando all’isolamento si aggiunge la restrizione degli oggetti personali, delle comunicazioni con gli altri detenuti e con l’esterno, l’effetto nocivo s’amplifica. La letteratura scientifica al riguardo è abbondante e incontestate e lo restituisce come  un trattamento degradante paragonabile alla tortura. Per di più si tratta di un pesante supplemento di pena che spesso non è neppure erogato con la supervisione di un organo giudiziario, che già per parte sua dovrebbe porre molte questioni che gli americani hanno da tempo superato di slancio.

FANNO COME GLI PARE – Il sistema carcerario americano è estremamente vario e gli standard sono molto flessibili passando da uno stato all’altro e spesso da una contea all’altra. Sono così possibili exploit come la Tent City, il carcere dove i detenuti stanno in tenda, voluto e realizzato da Joe Arpaio, lo sceriffo della contea di Maricopa, in Arizona. L’uomo, definito “lo sceriffo più duro degli Stati Uniti”, laggiù nell’Arizona ha deciso di risparmiare al massimo sui costi di detenzione creando quello che lui stesso ha definito un campo di concentramento nel quale i detenuti dormono in tenda e solo i servizi comuni sono in un’area separata all’interno di edifici. Il campo contiene migranti clandestini, detenuti in attesa di giudizio e piccoli criminali, costretti a stare nelle tende con temperature superiori ai 40° perché tanto i soldati in Iraq sopportano lo stesso caldo e non hanno commesso reati. Nelle sue carceri i detenuti sfilano incatenati insieme, vestono la divisa a righe e biancheria rosa, variante di fantasia che vorrebbe essere punitiva della virilità dei detenuti.

UN PROBLEMA DI CULTURA – Nonostante la plateale assurdità di alcune pratiche, Arpaio non ha subito grosse conseguenze dai ricorsi e dalle cause, attivate da quanti sostengono che molte delle misure adottate siano chiaramente incostituzionali e Arpaio ha anche subito alcune condanne per aver alimentato i carcerati con cibo scaduto, pane vecchio e frutta marcia, averli mantenuti in condizioni di sovraffollamento e aver negato loro le cure mediche e mentali, ma anche quando qualche angolo è stato smussato, è chiaro che quelli come Arpaio hanno a disposizione alcuni anni prima che le altre istituzioni decidano di mettere bocca nella sua fantasiosa gestione delle carceri, anche quando si rivelano folcloristici ed estremamente visibili come nel caso di Arpaio. Nel caso di progetti più estesi e importanti quanto meno appariscenti, questa relativa impermeabilità alle critiche è ancora più marmorea, anche perché negli Stati Uniti la sorte dei detenuti non è esattamente in cima ai pensieri dell’opinione pubblica e comunque viene dopo quella dei “cittadini onesti. Opinione pubblica peraltro largamente convinta, negli Stati Uniti come altrove, che questi stiano come in albergo, spensieratamente in vacanza a spese delle collettività e largamente incapace di riconoscere ai carcerati la titolarità di diritti umani e costituzionali.

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