Le ingiustizie della Social card

Sarà la crisi, ma la povertà è tornata di moda. Anche nel dibattito politico. La scena è ancora dominata dalla “Social card”, una delle tante trovate geniali del governo Berlusconi. Il bilancio di questi primi mesi mostra poche luci e molte ombre. Vediamole

Quando ha varato la Social card il governo l’ha descritta come una sorta di panacea in favore degli italiani meno fortunati, creando molte aspettative. La “Carta acquisti” ha un meccanismo di funzionamento complicato, ha avuto problemi di distribuzione e ancora oggi molti di quelli che ne hanno diritto o non l’hanno ricevuta, o non possono usarla perché è “scarica”. E’ stata in gran parte finanziata riducendo i trasferimenti ai servizi sociali dei Comuni e delle Regioni, quindi senza aumentare le risorse  a favore delle persone deboli. Ma questo forse lo avrete già letto.

C’E’ POSTA PER NOI – C’è dell’altro, di cui forse si è parlato meno. Alla posta di Giornalettismo per esempio è arrivata questa mail: “Per favore fate sapere ad es. che nel reddito per la social card viene conteggiata l’indennità  di accompagnamento di invalidità civile. Questa è una evidente discriminazione perché a parità di condizioni l’invalido, oltre ad essere sfortunato perché invalido, si vede negato un diritto che invece viene accordato al suo sosia non invalido e si fa per dire più fortunato. Inoltre si sa bene che l’assegno di accompagnamento non fa reddito e non è tassato, proprio perché deve alleviare la condizione di sofferenza esistente.” E’ una mail che grida vendetta. E purtroppo non è un caso isolato: spulciando nei requisiti per averla si scoprono anche altre cose poco comprensibili.

I REQUISITI PER LA SOCIAL CARD – La Social card o Carta Acquisti viene concessa esclusivamente agli anziani sopra 65 anni o ai bambini sotto i 3 anni (il Titolare della Carta è il genitore) in possesso di vari requisiti: cittadinanza italiana, imposta netta Irpef uguale a zero, redditi complessivi inferiori a 6.000 euro l’anno (8.000 se ultrasettantenni). Non basta: bisogna anche avere un ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente) inferiore a 6.000 euro, non essere intestatari di più utenze domestiche, non avere (se non in quota minoritaria) altri immobili ad uso abitativo oltre la casa in cui si vive, non essere proprietari, con una quota superiore o uguale al 10%, di immobili non ad uso abitativo o di categoria catastale C7 (Tettoie chiuse e aperte). Complessivamente, alla fine della [[Social card]] usufruirà non più del 3-4% delle famiglie italiane, rispetto ad una popolazione sotto la soglia di povertà che secondo l’Istat è il 12,8% dell’intera popolazione.

LA RISTRETTA CERCHIA DEI BENEFICIARI – Quindi, come ci ricorda la mail arrivata a Giornalettismo, oltre a tutti i poveri con più di 3 anni o più giovani di 65 che sono esclusi per definizione, un ultra 65enne che abbia la pensione minima e riceva anche l’assegno di invalidità civile, e quindi per questo superi il tetto dei 6 mila euro, perde il diritto ad usufruire della social card. Le istruzioni per la compilazione del modulo di richiesta sono chiare: “nel calcolo del limite di pensione e reddito, si tenga conto dell’importo annuo di tutti trasferimenti monetari ricevuti, a qualsiasi titolo, dall’INPS o dagli altri enti erogatori di pensione (es. casse previdenziali), anche se questi importi non sono fiscalmente imponibili“. Cornuto e mazziato. Oltre a questo caso, particolarmente odioso, anche superare il limite dell’Isee non è difficile. Una famiglia con due pensionati che guadagnano complessivamente più di 723 euro netti al mese è troppo “ricca” per usufruire della Social card. E se anche il reddito fosse inferiore, basta che il valore catastale dell’abitazione di proprietà superari i 51 mila euro, e si è fuori. Lo stesso se si ha un garage collegato al proprio appartamento. Senza contare che le situazioni di disagio si trovano anche e soprattutto tra le famiglie numerose e in quelle monogenitoriali, casi non contemplati dalla Social card.

PROBLEMI APPLICATIVI – Sarebbe stato più semplice il tradizionale trasferimento di denaro a chi ne aveva diritto, invece di ricorrere ad una “plastic money“: bastava potenziare gli strumenti esistenti, rafforzando l’assegno sociale rivolto ai pensionati e gli assegni familiari per i nuclei con figli, concentrandosi sulle situazioni di maggiore difficoltà. Non si sarebbero spesi i circa 7,5 milioni di euro all’anno tra produzione della carta, percentuale all’esercente, commissioni di ricarica che, secondo le stime di Altroconsumo, si perdono lungo il tragitto che porta i 40 euro al mese nelle tasche delle famiglie. Per non parlare dei numerosi problemi applicativi. Come ricorderanno gli sfortunati possessori della Social card le Poste, a cui il governo ha affidato la gestione dell’operazione, ai primi di gennaio si sono “dimenticate” di caricare la carta di 147 mila persone. E i titolari non sanno mai il giorno in cui la carta si ricarica degli ottanta euro bimestrali: a metà febbraio molti titolari si lamentavano di avere zero euro sulla carta, perché mancava ancora la ricarica del primo bimestre del 2009.

NUOVE MODIFICHE – Lo stesso Governo ha pensato bene di modificare l’intero meccanismo, ammettendo implicitamente le difficoltà. Il 4 marzo 2009 è stato registrato alla Corte dei Conti il terzo decreto ministeriale, con il quale innanzitutto si è prorogato al 30 aprile il termine per la presentazione della domanda. Chi lo farà si vedrà accreditati (quando, non si sa) anche i 120 euro degli ultimi tre mesi del 2008. Un’altra novità è l’aggiornamento annuale a partire dal 2009 dei limiti di reddito fissati, attraverso la percentuale di maggiorazione (attorno al 2-3% annuo) prevista ogni anno per l’aggiornamento automatico delle pensioni. E’ stato eliminato il requisito dell’incapienza (ovvero, l’imposta netta uguale a zero). Si potranno acquistare anche prodotti farmaceutici e parafarmaceutici, che prima, chissà perché, erano stati esclusi.

E  I SOLDI SCARSEGGIANO – Oltre ai criteri eccessivamente restrittivi, che portano ad esclusioni bizzarre e comunque ad una platea molto limitata di beneficiari rispetto ai bisogni, ai problemi di distribuzione ed utilizzo della carta acquisti, c’è il non trascurabile problema del finanziamento di questa misura. Nonostante il già ricordato ricorso al Fondo delle politiche sociali, “Il Governo ipotizzando 1.300.000 beneficiari, ha stimato il costo della social card in 450 milioni di euro annui che, ovviamente, nel primo periodo (dicembre 2008/dicembre 2009) diventa al massimo 606 milioni, poiché occorre considerare la prima tranche di 120 euro erogata a dicembre 2008″, come spiega il dossier dell’Asnoss. Finora ci sono state difficoltà nel reperire i fondi necessari al finanziamento. Una mano, oltre agli stanziamenti (insufficienti) previsti a carico del bilancio dello Stato,  l’hanno data due colossi di proprietà dello stesso Ministero dell’Economia: 50 milioni provengono da una donazione dell’Enel, mentre 200 milioni sono stati versati volontariamente dall’Eni. Per trovare altri fondi, si potrebbero usare i 172 milioni di euro (secondo la stima di Roberto Maroni, i promotori dicono 450 milioni di euro) che si risparmierebbero se si accorpassero le votazioni per europee ed amministrative con il referendum. Si potrebbe così aumentare ulteriormente la platea dei beneficiari (a partire dai casi più odiosi di esclusione) o la somma mensile di ricarica pro capite. Ma forse è chiedere troppo.

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