La vera storia di Rodotà che voleva eliminare il Senato

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Il “Foglio” di Giuliano Ferrara rilancia l’incredibile scoop di una proposta di riforma costituzionale elaborata dai deputati del gruppo del Partito comunista italiano che proponeva l’abolizione del Senato. Il motivo di interesse della notizia sta nella firma del professor Stefano Rodotà, uno degli autori dell’appello contro le riforme proposte dal governo di Matteo Renzi, con il supporto di Silvio Berlusconi, intitolato «La svolta autoritaria». Il quotidiano di Ferrara dedica l’apertura del suo sito all’autogol dei parrucconi, ovvero il fatto che Rodotà abbia firmato un indignato appello contro la riforma del Senato di Renzi quando ne aveva proposto l’abolizione 29 anni prima. Posto che criticare una persona per posizioni  politiche espresse 29 anni fa è intellettualmente piuttosto pietoso, visto quanto è cambiata l’Italia e il mondo nel corso degli ultimi tre decenni, l’argomento dei foglianti trasformatisi negli entusiasti corifei del patto Renzi-Berlusconi-Verdini (citare anche il suo nome pare opportuno quando si parla del quotidiano di Ferrara) non regge alla prova della semplice lettura.

Rodotà e gli altri deputati del Pci illustrano a pagina 6 del documento perché secondo loro un Senato non elettivo tradirebbe il principio costituzionale di rappresentanza del popolo. Se Cerasa e Ferrara vogliono una mano, potrebbero chiedere prova dell’incoerenza a una parte consistente del gruppo dirigente del Partito Democratico, sia in un senso che nell’altro. In realtà la visione di riforma della Costituzione espressa dal giurista candidato dal M5S alla presidenza della Repubblica esprime una coerenza più che accettabile considerando quanto tempo sia passato da allora, e i concetti espressi nell’appello di Libertà e Giustizia e nella riforma costituzionale proposta dal Pci nel 1985. Quando il riformista Veltroni citava come suo pensatore di riferimento Carlo Marx, giusto per contestualizzare il pensoso metodo d’attacco del Foglio che entusiasma i troll renziani. Il punto vero di discussione sarebbe un altro, ovvero capire se davvero si possa descrivere come autoritaria la riforma costituzionale di casa Renzi, e se ciò sia coerente con il pensiero di Rodotà, fatto salvo che sia condivisibile.

La risposta è no, perché il Senato delle autonomie immaginato dal disegno di legge costituzionale è più dannoso che lesivo dei principi fondamentali del nostro ordinamento. L’appello di Libertà e Giustizia trova però una sua ragionevolezza nella possibile pratica dell’Italicum combinata alla nuova riforma costituzionale.  Una legge elettorale che permette la nomina dei rappresentanti dell’unica camera che esprime la fiducia al governo da parte del leader che guiderà l’esecutivo, così come il consistente premio di maggioranza ottenibile anche con una bassa rappresentanza dell’intero corpo elettorale certo suscitano dei legittimi dubbi su chi ha la consapevolezza di individuare nella Costituzione limiti all’esercizio del potere. Una consapevolezza che si riscontra per esempio nel Rodotà del 1985 quando propone di rafforzare l’istituto referendario per riequilibrare l’unica camera legislativa oppure per costituzionalizzare il principio della rappresentanza proporzionale del voto, solo per fare due esempi facilmente comprensibili anche per Cerasa. Dubbi che crescono se consideriamo poi una seconda camera composta in modo decisamente non rispettoso della volontà popolare, con ben 21 nominati dal capo dello Stato e amministratori trasformati in legislatori di rango costituzionale per fare un favore agli amici dell’Anci. Ma ricercare un barlume di queste riflessione nel Foglio sarebbe in effetti così incoerente da meritare un titolone di condanna da parte di qualsiasi blog.

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