La vecchia storia dell’inutilità della cultura

21/02/2014 di Carlo Cipiciani

Chissà la faccia di Ann Collins Johns, prof. di storia medioevale all’Università di Austin in Texas, vedendosi recapitare a casa una lettera di Barak Obama; una lettera di scuse in risposta ad una sua protesta contro Mr. President, che davanti agli operai della General Electric aveva detto che i ragazzi vanno spinti ad imparare i lavori manuali, più remunerativi ed utili di una laurea in storia dell’arte: la versione a stelle e strisce del “con la cultura non si mangia” del nostro Tremonti. Dichiarazione che ha sollevato un vespaio, con stuoli di professori di letteratura, storia e altre materie umanistiche a decantare l’importanza delle materie umanistiche.

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Resta il fatto che, anche negli USA, le lauree in materie umanistiche crollano: a Yale, ad Harvard, a Standford: una laurea costa, e solo se garantisce sbocchi remunerativi la spesa vale l’impresa. Anche negli States molti dicono che è meglio far l’idraulico che studiare. E invitano Obama a non scusarsi per le sue dichiarazioni, ma a pensare alle cose che servono davvero alla crescita e all’economia. Ed è proprio questo il punto: si fa finta di non sapere che la creatività – che invece si mangia, quando diventa bellezza, arte, ma anche innovazione tecnologica, marketing, stile, design – si alimenta anche e forse soprattutto delle materie umanistiche. Ma è una storia vecchia.

A meno che non ci sia un altro buon motivo per spingere all’ignoranza di massa: quello che il pensiero da fastidio, che è garzie allo studio e al “philosophari” che i popoli hanno riscattato la propria condizione, insidiando “quelli che comandano”.

Mentre a chi comanda piace che i popoli stiano “al posto loro”. Una storia, questa sì, vecchia come la notte dei tempi.

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