«La moda italiana: i big del lusso ridono, i piccoli muoiono»

C’ è un’Italia che non conosce la crisi. Il settore della moda continua ad inanellare continui successi sui mercati internazionali, affermando la superiorità del marchio “Made in Italy” nell’abbigliamento di lusso. Uno sguardo più attento mostra però una situazione più controversa: solo i grandi ridono, mentre sempre più piccole imprese chiudono a causa del collasso del mercato interno.

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SUCCESSO STUPEFACENTE – L’Italia vive la sua peggior crisi economica della storia recente, ma chi leggesse solo i bilanci dei marchi dell’alta moda rimarrebbe stupefatto per dati così convincenti e brillanti, da vero e proprio miracolo economico. Prada ha aumentato nel 2012 il suo fatturato del 29%, portandolo a 3,3 miliardi di euro. Armani è cresciuto del 15,9%, come Gucci. Bottega Veneta ha inanellato uno strepitoso più 38,5%, mentre Moncler ha chiuso l’anno scorso con un convincente più 21,5%. E così vanno anche gli altri marchi delle grandi aziende della moda italiana, come rimarca il settimanale “Die Zeit”. L’azienda più grande è Luxottica, cresciuta di un ottimo 13,9, che ora ha chiuso il 2012 con un fatturato di sette miliardi di euro. I dati di Intesa-Sanpaolo mostrano che anche l’anno di crisi 2013 stia andando molto bene per i big del lusso italiano. Un’ulteriore prova della forza di un settore che è rimasto al vertice della competizione global, mentre un’ampia parte dell’economia nazionale scivolava nelle posizioni di coda.

ESTERO DECISIVO – Die Zeit sottolinea però come il successo della moda dipenda essenzialmente dall’estero, visto il collasso del mercato interno. “Gli italiani ormai comprano solo il necessario: sostituiti per vestiti usurati, scarpe più grosse per bambini che crescono”. Un pessimismo condiviso da Patrizio Bertelli, l’Ad di Prada. ” Chi non è in grado di esportare almeno la metà della sua produzione non è in grado di sopravvivere”. Una simile strategia però non è così semplice, visto che il mercato dell’Ue non offre grandi spazi di crescita. L’export verso la clientela più fedele e dal maggior potere d’acquisto, quella tedesca, è calata del dieci per cento nel 2012. I mercati che regalano successi alla media italiana sono la Cina, cresciuto di ben il 18,3% nel 2012, Stati Uniti, Russia e Giappone. Negli altri paesi i marchi italiani puntano sugli Henry, High Earners, Not Rich Yet. Sono i professionisti o manager con carriera in ascesa, che guadagnano molto ma non sono ancora ricchi. Hanno però molti soldi da spendere, e il lusso e la qualità piacciono molto.

GLI ACQUISTI DEI TURISTI – Tra gli Henry esteri che comprano la moda italiana  ci sono anche i turisti, che arrivano in Italia per vedere la Cappella Sistina a Roma o l’Ultima Cena a Milano, ma poi passano le loro ore di vacanze tra le boutique delle vie dello shopping delle grandi città. Stefano Canali, direttore dell’azienda famiglia, rimarca come in Italia sopravviviamo solo grazie al turismo. Anche Giorgio Armani rafforza questo concetto: ” senza stranieri avremmo chiuso tutti i negozi”. Il dato rimarcato dagli imprenditori della moda si rifletta sulla crescita degli acquisti degli stranieri per beni di lusso, ed il contemporaneo calo per le spese più tradizionali di chi si reca all’estero, come il mangiare, le entrate nei musei o nei teatri, i sovenir. Ciò che conta rimane il marchio italiano, anche se in questi anni alcune delle aziende più famose sono finite nelle mani dei francesi. Gucci, Bottega Veneta, Brioni, Sergio Rossi, Fendi, Pucci, Pomellato, Bulgari sono  i marchi più noti che sono stati acquisite dai giganti del lusso transalpino.

PICCOLI IN CRISI – Al di là della penetrazione dell’industria del lusso francese, il vero problema della moda italiana risiede nella crisi dei piccoli. Il successo dei big stride di fronte alle sofferenze della miriade di Pmi attive nel settore. Il modello dell’azienda familiare – in media i dipendenti sono 8,6 – mostra in questo settore la sua corda, vista l’impossibilità di dare nuovi indirizzi a imprese sottocapitalizzate quando crolla il mercato tradizionale. Negli ultimi cinque anni nel settore tessile sono scomparse più di otto mila imprese, con la contemporanea distruzione di 83 mila posti di lavoro. La cassa integrazione è cresciuta del 90%. Die Zeit rimarca come chi non riesce ad entrare nel mercato del lusso non ha praticamente più chance di sopravvivenza.

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