La decrescita della popolazione farà crollare l’economia globale?

13/02/2012 di Dario Ferri

La riduzione della tendenza all’aumento demografico rischia di togliere molte risorse a Stati e mercati

Da un po’ di tempo è ritornato il bel tempo sui mercati azionari. La liquidità fornita ai mercati da entrambe le sponde dell’Atlantico, ha per un momento accantonato le paure degli investitori terrorizzati dalla crisi dei debito sovrani nell’area euro, permettendo così alle azioni di riprendersi e mettere il segno positivo nei listini delle Borse mondial. L’eurocrisi, il primo motivo di panico degli ultimi due anni, è però ancora molto lontana dall’essere superata. E se mai anche questa venisse in qualche modo risolta in un breve futuro, potrebbe apparire al centro delle preoccupazioni il motivo principale per cui sarà difficile per gli investitori guadagnare , così come per gli Stati mantenere in equilibrio le loro finanze pubbliche. Questo problema è l’andamento demografico del mondo.

UN MONO SENZA CRESCITA ?– Per alcune parti del movimento ecologista, o per forze o simpatizzanti progressisti, la decrescita è diventata un tema di discussione, oppure un obbiettivo palesemente dichiarato. Per il momento chi auspica la realizzazione delle teorie di Latouche rimane in minoranza, perché le società occidentali prima e ora il boom dei Paesi in via di sviluppo, BRICS in primis, si è basato sul modello della crescita economica. L’incremento della ricchezza nazionale è il principio sul quale si regge l’intero impianto del mondo sviluppato, sia nel mondo produttivo, sia per gli equilibri finanziari degli Stati, che saltano proprio come nell’eurocrisi quando arrivano lunghe recessioni difficili, o impossibile come appare ora nel caso della Grecia, da superare. Ma l’idea che il mondo possa smettere di crescere potrebbe realizzarsi in un tempo piuttosto rapido, senza che nessun attore politico o sociale faccia niente affinché si imponga questo non principio economico. Infatti nel prossimo decennio lo sviluppo demografico a livello mondiale potrebbe procurare una trasformazione così radicale da risultare epocale. Il modello della crescita duratura potrebbe non funzionare in più, con conseguenze drastiche per gli Stati, le imprese, gli investitori e i risparmiatori, visto il difficile equilibrio fiscale da trovare per un’economia che smette di aumentare e rimane statica.

LA POPOLAZIONE E’ LA CHIAVE – Il più rilevante fattore per la crescita economica del passato è stata la demografia. Negli ultimi tre decenni, la fase che potrebbe essere definita come epoca della globalizzazione, la ricchezza mondiale è aumentata in media di circa tre punti e mezzo percentuali l’anno. Due punti percentuali di crescita, quindi più della metà dell’incremento complessivo , è stato però determinato dall’incremento demografico che si è registrato a livello globale, dato che la popolazione  delle Terra è passata dai quattro miliardi e trecento milioni del 1990 ai  sette miliardi del 2011. L’economia dunque è cresciuta per buona parte soprattutto perché gli uomini diventavano sempre più numerosi, così che nascevano nuovi lavoratori, consumatori e così via.  Ora però questa tendenza sta cambiando. Sempre più Stati si trovano nella forchetta della stagnazione demografica, la crescita zero della popolazione, oppure diminuisce il numero complessivo dei cittadini. Il Giappone, la seconda economia del globo, si trova da alcuni anni in questa situazione, e da più di un decennio denota tassi di crescita deludenti, che hanno fatto esplodere il debito pubblico a 200 punti percentuali sul Pil. La maggior parte degli Stati europei si trova in una simile situazione, e l’aumento demografico che ha mantenuto costante la popolazione è arrivato principalmente dall’immigrazione, fenomeno storicamente poco rilevante  nell’isola nipponica. Anche gli Stati Uniti denotano una tendenza europea alla stazione demografica. Il flusso di milioni di nuovi cittadini americani arrivati dall’estero, che hanno completamente trasformato la composizione demografica statunitense, sembra essersi fermato, anche a causa della Lesser Depression. Nel 2010 e nel 2011 il numero dei nuovi maggiorenni è per la prima volta diminuito dagli anni settanta, ovvero da quando la pillola anti concezionale aveva iniziato a diffondersi. Gli Usa sono cresciuti, quasi esplosi a inizio degli anni novanta, grazie all’immigrazione. Questo tipo di nuovi cittadini però manca in tanti paesi, e perfino la Cina si trova di fronte ad un’inversione di tendenza nel suo andamento demografico positivo dopo trent’anni di politiche che permettevano la nascita di un solo figlio per famiglia. Circa quattro quinti dell’economia mondiale sono interessati da questo fenomeno. Se l’umanità non crescerà più, la conseguenza sarà un arretramento complessivo dell’economia a livello globale. Un fenomeno che già si può osservare nei paesi dove la popolazione è inferiore rispetto agli anni precedenti. Questo nuova situazione demografica ha conseguenze molte tangibili.

LA SPERANZA NEI NUOVI PAESI – Un mondo a cui manca il fattore chiave della crescita economica si troverebbe in una situazione sociale sempre più difficile. Finora le recessioni sono arrivate, a parte le eccezioni, con regolarità dopo un periodo di incremento del Pil lungo tra i cinque e i dieci anni. Negli ultimi decenni le contrazioni economiche hanno rispettato questa cadenza. Negli Stati Uniti, la locomotiva del sistema produttivo globale, le recessioni nell’era della globalizzazione si sono verificate tra il luglio del 1981 e il novembre del 1982, tra il luglio del 1990 e marzo del 1991, tra marzo e novembre del 2001, e la Lesser Depression iniziata a metà del 2007 e conclusasi due anni dopo. In questo periodo sono accadute anche gravi crisi finanziarie, che hanno a volte anticipato le contrazioni dell’economia reale. Se però la crescita non ci sarà più, le recessioni saranno molto più frequenti, e i mancati aumenti del Pil, uniti al generale incremento delle spese pubbliche causate dall’invecchiamento della popolazione, porterà sempre maggiori difficoltà alle finanze pubbliche, e relative ricadute negative su imprenditori, consumatori e risparmiatori. Una cupa premonizione futura che potrebbe essere mitigata, se non del tutto annullata, dall’aumento della popolazione nelle nazioni di recente industrializzazione. Negli Stati come l’India, oppure nel Continente africano, la crescita demografica rimane costante. Anche le Nazioni Unite ritengono che il numero dei cittadini del mondo aumenterà dagli attuali sette miliardi in modo costante fino ad almeno nove miliardi, che dovrebbero essere raggiunti quando sul calendario comparirà l’anno  2050. La Geografia risolverà dunque ogni problema economico? Purtroppo non è così. Perché anche l’aumento  complessivo della popolazione previsto dalle stime delle ONU evidenzia come ci sarà una significativa riduzione della tendenza alla crescita. Negli ultimi quattro decenni il numero dell’umanità è quasi raddoppiato, mentre nei prossimi quaranta anni ci sarà un incremento piuttosto limitato, pari al trenta percento.

PROBLEMA ETA’ – Nel mondo attuale nascono molti nuovi bambini, ma l’aumento della popolazione deriva anche dall’incremento dell’aspettativa di vita degli uomini. Oggi l’età media del cittadino globale è ventisette anni, mentre nel 2050 questa sarà di 38 anni, una crescita che maschera un altro problema. Attualmente le persone che hanno più di sessantacinque anni sono mezzo miliardo,ma tra quarant’anni si dovrebbero triplicare, arrivando ad un miliardo e mezzo. Circa la metà della crescita complessiva della popolazione si trova dunque in una fascia d’età dove gli uomini non lavorano più, così che la percentuale di popolazione attiva, quella che finanzia il sistema di welfare dove esso è presente, aumenterà in maniera contenuta in  numeri assoluti. Questa è la differenza più importante rispetto al passato, perché come scrivono alcuni analisti finanziari, gli ultimi trent’anni sono stati caratterizzati da un aumento esplosivo della popolazione in età da lavoro. Questo ha provocato una espansione dell’economia ed una crescita della ricchezza che non pare più riproponibile, perché una cesura storica si è di fatto determinata.

EFFETTI SU MERCATI E BILANCI – Le conseguenze di questa svolta sono drastiche. I mercati finanziari potrebbero subire una pesante involuzione, perché mancherebbe uno dei driver fondamentali per il loro andamento positivo. Il rifornimento sul mercato dei capitali potrebbe esaurirsi, anche perché una popolazione più anziana avrebbe minore propensione ad investimenti ad alto rischio. I mercati azionari potrebbero soffrirne pesantemente, perché se finora si poteva realizzare un guadagno di 7, 8 punti percentuali con acquisti a lungo periodo, ora il margine di profitto si ridurrebbe ad un massimo di quattro, cinque punti. Inoltre, un’altra conseguenza potrebbe drasticamente ridurre il potere d’acquisto delle persone. L’inflazione è stata piuttosto contenuta negli ultimi vent’anni, anche perché la forza lavoro a disposizione della produzione globale è cresciuta a dismisura, comprimendo così la tendenza all’aumento della retribuzione del fattore lavoro. Se però per esempio in Cina, la fabbrica del mondo, diminuirà rapidamente il numero degli addetti alla produzione, la situazione cambierà. Se la forza lavoro diventa scarsa, il bene diventa scarso, e il suo prezzo cresce. I salari dovrebbero dunque crescere a livello globale, generando così una spinta inflazionista non facilmente contrastabile. Una situazione che potrebbe generare gravi difficoltà anche ai bilanci pubblici, che dovrebbero combattere con minori risorse in entrata e maggiori spese in uscite, vista la probabile, anche se non sicura, crescita del costo dei beni e dei servizi sui mercati internazionali.

IL FUTURO NON E’ SCRITTO– I grandi investitori finanziari potrebbero cercare allora per contrastare questa tendenza una via d’uscita dai mercati senza crescita, sia in termini di popolazione che di conseguenza di ricchezza creata. L’India, l’Indonesia o i paesi africani potrebbero ricevere imponenti afflussi di capitale, una svolta che potrebbe generare notevoli differenze nelle prospettive economiche di queste macro aree. Una simile spinta potrebbe però essere replicata anche dalle grandi aziende occidentali, che si vedrebbero costrette ad intensificare il loro processo di delocalizzazione per raggiungere quei tassi di crescita desiderata dagli investitori. Un simile spostamento di capitali genererebbe enormi tensioni sia a livello finanziario, che a livello sociale nei singoli Stati, e probabile incremento di frizioni nelle relazioni internazionali. Un’ulteriore conseguenza della scarsità di capitali potrebbe essere la rinascita degli interessi. Finora, a parte questo recente periodo di eurocrisi, le democrazie occidentali hanno potuto beneficiare di costi del debito invero contenuti. In  conseguenza però di scarsità di capitale e di crescita di inflazione, i tassi di interesse crescerebbero verso l’alto. La fase dei tassi reali negativi, ovvero inferiori all’inflazione, potrebbe dunque concludersi definitivamente. I grandi sconfitti in questo schema futuribile ma non certo da escludere sarebbero gli investitori nel settore immobiliare, che si dovrebbero confrontare con una domanda in diminuzione alla luce di una stagnazione demografica. Questo scenario è certo ipotetico, perché nulla nell’evoluzione della società umana è statico e predeterminato, ma tutto ciò appare pronosticabile se si basa sull’unico modello che abbiamo conosciuto finora, ovvero un sistema economico che si basa su una crescita permanente. Ma il costante incremento della ricchezza nazionale potrebbe scomparire nel breve futuro, dopo un periodo lungo di vacche grasse. Il futuro è sempre nelle mani degli uomini, e nello specifico tra pochi decenni tutto si potrebbe giocare su quanto sarà la popolazione globale, e quanta parte di essa sarà costituita dalle fasce d’età che non lavora. 

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