La crisi di governo e l’ascesa di Matteo Renzi sotto gli occhi del mondo

14/02/2014 di Alberto Sofia

C’è chi parla di «suicidio della sinistra italiana», chi racconta la «drammatica insurrezione nel partito di Letta» e chi attacca l’«ambizione» del segretario democratico Matteo Renzi. Dopo la “sfiducia” votata dalla direzione del Pd e il conseguente annuncio della salita al Quirinale da parte del premier Enrico Letta per le dimissioni, la crisi di governo italiana è rimbalzata sulle maggiori testate internazionali. La staffetta a Palazzo Chigi non sembra essere apprezzata all’estero, tra chi pone l’accento sul rischio stabilità per il nostro Paese e per l’eurozona e chi invece resta perplesso di fronte alla scalata ai vertici del sindaco di Firenze.

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LA CRISI DI GOVERNO IN ITALIA E LE REAZIONI DELLA STAMPA ESTERA – Già ieri dall’estero era arrivata una stroncatura pesante da parte del Financial Times, che aveva riportato la resistenza di Enrico Letta per salvare la sua premiership, «in un’Italia indebolita» che attendeva l’avanzata di Matteo Renzi, definito come «il demolition man». Ma non solo: Ft raccontava come il cambio fosse una sorta di «lotta di potere che ricorda la rivalità medievale tra le città toscane di Pisa e di Firenze». Secondo il quotidiano le battaglie politiche avevano «indebolito le energie della coalizione e minato le sue priorità economiche». Se il governo doveva «concentrarsi sui tagli alla spesa pubblica, sulla riduzione del debito e su una diminuzione dell’eccessivo costo del lavoro», tutto era rimasto in sospeso per soddisfare le «richieste populiste di Berlusconi sull’abolizione dell’Imu, la tassa sulla proprietà». Sia «l’approvazione della legge elettorale che la modifica della Costituzione per rendere l’Italia più governabile si erano così insabbiate». Dopo l’apertura ufficiale della crisi di governo, con il voto del Pd attraverso il quale «Renzi ha spodestato Letta come primo ministro», Financial Times ha realizzato un ritratto del giovane segretario democratico, spiegando come Renzi dovrà «affrontare la battaglia per riformare l’Italia».

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Ft ricorda i rischi dell’operazione: «Renzi dovrà assumere la guida di un esecutivo di coalizione debole, con un piano economico che rischia di entrare in collisione con Bruxelles, mentre manca di legittimità popolare in patria». Eppure, si spiega, «il riformista ambizioso ha spiegato di voler portare avanti un esecutivo di legislatura, durando in carica per quattro anni fino al 2018». Si elencano poi le prossime sfide: Renzi dovrà affrontare il suo primo test alle elezioni europee del prossimo maggio. Dovrà dimostrare di tenere testa all’avanzata delle campagne populiste ed euroscettiche, portate avanti dal movimento anti-establishment dei 5 Stelle. Oltre al tentativo di tornare in campo dell’ex premier Silvio Berlusconi». Ft ricorda poi come, «senza dubbio, l’opposizione ricorderà agli elettori le ripetute dichiarazioni di Matteo Renzi, che aveva spiegato di voler arrivare a Palazzo Chigi soltanto attraverso le elezioni e non dalla porta sul retro. Senza dimenticare come avesse spiegato di non voler mai formare una coalizione con il centro-destra, né avrebbe cercato di spodestare Letta come primo ministro». Ft ha sollevato dubbi anche sull’agenda economica di Renzi: «Deve ancora spiegare quale sia la sua strategia economica, al di là degli annunci sui tagli alla spesa pubblica». Non mancano i dubbi: «Renzi deve ancora dimostrare la capacità di gestire i problemi macro-finanziari complessi sulla scena internazionale. La sua agenda pro-crescita potrebbe incontrare ostacoli insormontabili a livello comunitario, dove il rigore e la disciplina fiscale restano un mantra. Senza legittimazione popolare, Renzi non sarà in grado di sostenere che le sue politiche sono ciò che gli italiani vogliono», ha aggiunto Brunello Rosa, del Roubini Global Economics, intervistato dal quotidiano.

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I MEDIA STRANIERI E LE AMBIZIONI DI MATTEO RENZI –  Già ieri, dopo la notizia del voto in direzione Pd che sfiduciava Letta, diversi cronisti e commentatori britannici avevano incalzato Renzi su Twitter. Sul Guardian online, Geoff Andrews, scriveva: «Porto con me una copia del Principe di Machiavelli per parlare della crisi politica italiana». C’era poi chi, come Yannis Koutsomitis, ha etichettato il sindaco di Firenze come «Matteo Brutus Renzi».

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Se il New York Times ha ricordato come il primo ministro italiano si sia «dimesso dopo la rivolta del partito», anche il britannico Guardian ha dato ampio spazio nella sua edizione on line alla crisi di governo in Italia: si spiega come Enrico Letta si dimetterà oggi dopo una lotta di potere interna con il big del proprio partito (Renzi, ndr). E si ricorda come il sindaco fiorentino, definito come “telegenico”, citi spesso Tony Blair come modello: «Ora sembra destinato a diventare il più giovane premier del paese nella storia moderna». Sul Guardian si sottolinea infine come al presidente del Consiglio sia costato caro essere stato al governo con Silvio Berlusconi e le forze di centro-destra: «Una decisione che gli è costata il sostegno di molti nel suo partito».

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Non manca nemmeno il commento sprezzante del Wall Street Journal: «Ancora un altro governo italiano», titola. E si ricorda come anche l’esecutivo Letta, alla stregua dei suoi predecessori, si inserisca nella sequenza dei governi che, dal dopoguerra in poi, non sono riusciti a completare il proprio mandato. WSJ attacca così l’instabilità italiana, così come la stessa scalata del sindaco fiorentino: «Gode di buona reputazione come leader pragmatico e riformista, ma sciogliendo il governo ha mostrato come sia anche un politico tattico». Oltre che ambizioso, come hanno spiegato altri quotidiani, come El Pais. Anche il quotidiano spagnolo racconta la tragicommedia italiana: «Sembrava che la direzione scelta fosse stata quella giusta. Nel giro di pochi mesi, Letta avrebbe realizzato il suo sogno di guidare la presidenza del semestre di turno dell’Unione europea nella seconda metà del 2014, mentre l’Italia sarebbe andata subito dopo alle elezioni con una nuova legge elettorale, un Senato modificato». Ma non solo: «Silvio Berlusconi sarebbe stato ormai da parte, il centro-destra finito in rissa e il Partito Democratico (PD) che mostrava un nuovo leader carismatico, di soli 30 anni. Suonava tutto così bene che non poteva essere vero. Così l’ambizioso Renzi ha scalzato Letta», ha spiegato El Pais.

LE PERPLESSITÀ DI LE MONDE – Non mancano le perplessità sull’ascesa di Renzi anche sul francese Le Monde, che rievoca anche precedenti poco fortunati per quanto riguarda la staffetta: «Il rischio è grande. L’ultimo esempio di avvicendamento tra i membri dello stesso partito o della stessa coalizione a capo del governo fu nel 1998, quando Massimo D’Alema, lanciato come un leader del futuro per la sinistra, ha scalzato Romano Prodi. Ma nessuno ne ha beneficiato. Non pochi hanno consigliato a Renzi di non ripetere lo stesso errore. Ma lui non li ha ascoltati», ha spiegato Le Monde.

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Già dieci giorni fa, sempre attraverso la penna di Philippe Ridet, aveva realizzato un ritratto sul sindaco fiorentino, con tanto di paragone con Silvio Berlusconi. Renzi veniva definito come “l’uomo che ha fretta“, così come «il primo vero leader eletto a Sinistra a non essere passato attraverso le fila del defunto Partito Comunista Italiano». Ma ai francesi non erano sfuggiti i paragoni con il Cavaliere: «Stessa ambizione, stesso gusto per gli slogan , così come la flessibilità ideologica , stessa capacità di privare il nemico delle proprie argomentazioni , sfruttando anche la propria telegenia». Si continuava: «Già è nato un nuovo soprannome; Renzusconi». Nel ritratto si spiegava come a sinistra i  «guardiani dell’ortodossia » avessero accusato Renzi  «per il suo passato democristiano, per l’esperienza scout, per il suo cattolicesimo, per gli inglesismi utilizzati nei suoi discorsi, anche per la partecipazione alla “Ruota della Fortuna”, per i suoi sponsor che lo sostengono (da Flavio Briatore all’ allenatore della squadra di calcio della Nazionale, Cesare Prandelli)». Così come si rievocava «il pranzo , nel dicembre 2010 , nella villa di Arcore, al tavolo di Silvio Berlusconi, nella tana del bunga – bunga». Si leggeva ancora: «Renzi a Gramsci preferisce Bobby Kennedy, Tony Blair e Barack Obama». Come riporta Le Monde, agli occhi degli elettori più legati alla tradizione di sinistra, a peggiorare la situazione era stato «l’accordo sigillato a Largo del Nazareno, nella sede del Pd, sabato 18 gennaio con Silvio Berlusconi sulla modifica della legge elettorale e sulle riforme per dare stabilità di governo». Ma si elencavano anche i meriti: «Dopo nove anni l’incostituzionale legge elettorale (il Porcellum) potrebbe essere modificata». Secondo Le Monde, però, considerata la velocità con cui la sinistra italiana ha consumato i suoi leader, Renzi avrebbe adesso bisogno di «una mossa vincente, e in fretta, prima di essere paragonato a un “un politico come tutti gli altri” e sepolto nel cimitero di stelle cadenti affollate della politica italiana».

IN GERMANIA – Anche sui giornali tedeschi, infine, c’è spazio per la politica italiana e la crisi di governo: anche su Der Spiegel si parla di “lotta di potere” interna al Partito democratico, fino alla staffetta tra Enrico Letta – che ha tentato di resistere, si ricorda, ndr – e il segretario democratico. Si teme, inoltre, per «la stabilità democratica della terza più grande economia della zona euro» Si spiega come la scelta di Renzi sia «difficile e pericolosa», come aveva spiegato lo stesso sindaco fiorentino, che «ha intenzione di voler governare il paese senza passare dalle elezioni». Non mancano i pericoli: «Soprattutto perché la maggioranza degli italiani si è espressa contro questa opportunità in diversi sondaggi». Ma si aggiunge: «Dove sono però le alternative?», ricordando come, se si andasse al voto senza prima cambiare la legge elettorale, ci sarebbe il rischio di un nuovo stallo. L’eco della crisi di governo italiana arriva infine anche in Argentina e Brasile: su O Globo, in particolare, si spiega la difficile condizione economica italiana, e si spiega come l’«incertezza politica abbia ostacolato qualsiasi tentativo radicale di promuovere una ripresa del Paese».

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