La cannabis prescritta dai medici di famiglia

Il Corriere della Sera fa sapere che il governo dice sì alla legge abruzzese per l’uso terapeutico della cannabis. La legge prevede che la marijuana sia prescritta dal medico di famiglia.

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LA CANNABIS PRESCRITTA DAI MEDICI DI FAMIGLIA – La novità abruzzese è che viene previsto che l’uso della cannabis venga autorizzato gratuitamente sia per pazienti ricoverati in ospedale sia per pazienti che proseguano le cure a casa, grazie a ricette che possono essere rilasciate anche da medici di base che non hanno limiti per una serie di malattie che vanno dal glaucoma al tumore. L’Abruzzo non è la prima regione che legifera in materia di uso terapeutico della cannabis. In altri due casi il governo guidato da Mario Monti aveva impugnato le leggi, in particolare quella del Veneto e della Liguria. Spiega il Corriere:

L’Abruzzo, infatti, non è la prima Regione che legifera in materia di uso terapeutico della cannabis e per ben due volte il governo (sempre l’esecutivo guidato da Monti) aveva impugnato le leggi, in particolare quella del Veneto e della Liguria. Ed è la sentenza che riguarda la Liguria che più avrebbe potuto sbarrare la strada all’Abruzzo, lì dove dice che una norma che «indica i medici specialistici abilitati a prescrivere i farmaci cannabinoidi e definendo le relative indicazioni terapeutiche interferisce con le competenze dello Stato». Ovvero la Consulta ha sollevato un problema di Titolo V e di agenzia del farmaco che ieri il consiglio dei ministri ha superato con uno slancio e con la benedizione di uno fra i più acerrimi nemici della cannabis, Carlo Giovanardi (Ncd): «È una legge in sintonia con la legislazione nazionale in vigore che ammette la cannabis per ragioni curative dietro presentazione della ricetta medica. Ed ha fatto il bene il governo a non impugnarla».

Antonio Spagnolo, direttore di bioetica della facoltà di medicina dell’Università Cattolica di Roma, segnala però i rischi della decisione:

«Il problema però, non è questo, ma, piuttosto, soppesare bene i rischi connessi con un eventuale trasferimento dell’utilizzo terapeutico della cannabis sul lungo termine», puntualizza il professor Spagnolo. «In questo caso bisogna valutare attentamente il bilancio costo/ beneficio della scelta, perché gli effetti negativi di una somministrazione prolungata potrebbero essere maggiori di quelli positivi, perché, per esempio, ci sarebbe da considerare gli aspetti legati allo sviluppo di dipendenza». «Un altro fronte» — rinforza il bioeticista dell’Università Cattolica — è quello rappresentato dalla preparazione. Può non essere affatto facile, specialmente nelle preparazioni galeniche, avere un controllo esatto del contenuto effettivo in tetraidrocannabinolo (il principio attivo della cannabis) di ciò che viene somministrato ».

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