Juventus – Barcellona i precedenti storici da ricordare

Ormai ci siamo, mancano poco più di ventiquattrore al match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Juventus e Barcellona. Se volete entrare in clima partita iniziando da lontano, potete rinfrescarvi la memoria su come sono andati i precedenti storici tra le due formazioni. Il sito Juventibus ha realizzato un articolo che li sintetizza tutti alla perfezione. Ecco magari sì, senza dar troppo peso alla partita che tutti ricorderanno e che forse, non vale poi tanto la pena approfondire.

Juventus-Barcellona, i precedenti: da Bettega a Zalayeta

Ci siamo, la sfida, fascinosa quanto improba, col Barcellona, è alle porte. Meno frequente di quelli col Real Madrid, l’incrocio coi blaugrana vanta nondimeno una discreta storia; che – tralasciando un remoto confronto nella dimenticata Coppa latina nel ’52 – inizia nel 70-71 in Coppa delle Fiere, di lì a un anno coppa Uefa. La Juve dei giovani e del nuovo corso sotto la guida di Armando Picchi infligge ai catalani una doppia sconfitta, al Camp Nou con i gol di Haller e Bettega, e a Torino ancora con incornata di Bobby-gol e cucchiaio di Capello: due affermazioni perentorie di una squadra brillante, capace di arrivare in fondo alla competizione che tuttavia, pur uscendo imbattuta dalla doppia finale e dal torneo nel suo insieme, dovrà lasciare agli inglesi del Leeds per la regola del gol in trasferta, introdotta proprio quell’anno.

Passano tre lustri in cui la Juve non ripassa dalla Spagna se non per la vittoriosa sfida col Bilbao nella finale Uefa del ’77, ed eccoci al 5 marzo 1986. I nostri, campioni in carica, giocano in trasferta una gara solida, in controllo, e danno l’impressione che, se solo osassero spingere un po’ di più, potrebbero farla propria; prevale tuttavia, vuoi per i problemi in attacco dove, assente il centravanti titolare Serena, si fa male anche il sostituto Briaschi, vuoi per le ancestrali remore trapattoniane, una certa prudenza. Ma quando lo 0-0 sembra in dirittura d’arrivo un diagonale da lunga distanza del terzino Julio Alberto, forte ma non irresistibile, buca Tacconi e decide il confronto.

La gara di ritorno evoca immediatamente, in chi ebbe la disgrazia di assistervi allo stadio o in tv, il nome di Marco Pacione. Prodotto del vivaio atalantino, centravanti di stazza, raggiunge Torino all’inizio della stagione 85-86 come punta di complemento; che in effetti vede poco il capo, salvo trovarsi titolare nel decisivo quarto di ritorno per la contemporanea assenza dei due citati. La Juve è tonica, aggressiva: ecco un affondo di Laudrup, che serve a Pacione sotto misura una palla solo da spingere in porta. Ma il piede non si allunga, la palla sfila. Si continua, dopo due tentativi di Cabrini una bella trama Platini-Laudrup-Mauro, il cross è invitantissimo davanti alla porta…ma il piede di Pacione ancora rimane lì, a un centimetro dal gol. Nuova sgroppata di Laudrup, traversone preciso da appoggiare, questa volta è il testone dell’ex atalantino a rimanere indietro di quel pizzico: non è che sbagli a tirare, è proprio che non ci arriva.

La rinomata legge del calcio si applica inesorabilmente pochi minuti dopo, nella forma di un colpo di testa di Steve Archibald da posizione improbabile, su cui però Tacconi si’impappina. Gol che taglia le gambe alla Juve, che pareggia con Platini ma non riesce più a esprimersi con la convinzione del primo tempo, ed esce mestamente. Di fatto la carriera di Pacione alla Juve e nel calcio di livello finisce qui, anche se qualche stagione dopo, per una crudele nemesi, il tanghero ci rifilerà una doppietta con la maglia del Verona.

Nuova sfida in coppa delle coppe, stagione 90-91, in semifinale: i blaugrana sono uno squadrone, ma nel primo tempo dell’andata una Juve senza complessi gioca alla pari e va in vantaggio con Casiraghi. Nella ripresa tuttavia una banalissima mossa di Crujiff, che cambia di fascia Goicoetxea, mette a nudo la rigidità tattica di Maifredi: lontano dall’arcigno Napoli il basco imperversa, mette lo zampino in due gol e ne segna un terzo splendido, annientando le speranze bianconere. Per tentare la rimonta l’ineffabile tecnico bresciano pensa bene al ritorno di lasciare in panchina Schillaci a beneficio di Corini (salvo poi perdere Casiraghi nel primo tempo); Baggio firma una punizione delle sue ma non basta, e di nuovo la Juve abbandona il torneo – e, al termine di una stagione sciagurata – anche l’Europa dopo 27 stagioni consecutive.

Ed eccoci alla Champions 2002-2003, in cui la Vecchia Signora fa il pieno di spagnole, incontrando il Barça ai quarti fra Deportivo La Coruña e Real Madrid, tappa intermedia ma impervia specie all’andata: gli uomini di Lippi vanno avanti con Montero ma poi faticano, il gioco non è fluido, davanti si sente l’assenza di Trezeguet. Il Barcellona, sornione, piazza il pari a dodici minuti dalla fine e sembra incanalare la qualificazione sul proprio binario. Al Camp Nou però, come da tanti ricordato in questi giorni a scopo propiziatorio, una Juve ben più gagliarda tiene botta, va in vantaggio con Nedved, subisce il pari e l’espulsione di Davids, arriva ai supplementari in dieci ma lì colpisce, a sorpresa, sull’improbabile asse Birindelli-Zalayeta, espugnando così, nuovamente dopo oltre 30 anni, il prestigioso e vasto stadio. Il resto come si dice è storia, al pari della disgraziata finale berlinese di due anni fa troppo fresca perché la si debba ricordare, e nella quale a conti fatti l’ostacolo si rivelò insormontabile. Come sembra ancora oggi: ma chissà.

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Foto copertina Instagram

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