Faida Labour Party. Jeremy Corbyn sfiduciato, ma resiste: «Non mi dimetto»

28/06/2016 di Alberto Sofia

Ormai è faida interna dentro il Labour Party inglese. Da una parte i parlamentari e gran parte del gruppo dirigente laburista, dall’altra il segretario Jeremy Corbyn. Il leader non intende dimettersi al di là della guerra aperta lanciata all’interno del suo partito dai deputati, che lo hanno sfiduciato a larga maggioranza. Ma il voto, non vincolante, viene rifiutato da Corbyn, che ha già annunciato di non voler fare alcun passo indietro dalla guida.

JEREMY CORBYN SFIDA I DEPUTATI LABOUR DOPO LA SFIDUCIA

Jeremy Corbyn è accusato di aver fatto una campagna troppo timida al referendum che ha poi sancito il Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Ue. In realtà, la sua leadership è stata in realtà mal digerita dal vecchio gruppo dirigente del Labour – compresi gli orfani lib-lab di Blair – fin dal primo giorno della sua elezione, nove mesi fa. Contro di lui ora si è espressa una maggioranza schiacciante tra i deputati: 172 deputati (l’81%) si sono schierati contro Corbyn, soltanto quaranta hanno invece ribadito la loro fiducia. In base al regolamento del Labour, è però possibile convocare una nuova elezione per la leadership se 50 deputati appoggiano un nuovo candidato. 

L’IPOTESI DI UNA NUOVA ELEZIONE IN CASA LABOUR PARTY

Tradotto, il destino della leadership di Corbyn resta ancora in bilico. Al momento, però, poco cambia. Perché il leader intende ignorare il voto dei deputati e andare avanti, forte del sostegno di una base che lo elesse con numeri record, premiando i suoi slogan anti-austerity e il suo messaggio pacifista. In migliaia, tra i militanti che lo hanno portato alla guida del Labour, si sono radutati fuori da Westminster scagliandosi contro quei deputati bollati come “traditori” e accusati di voler destituire Corbyn. Lo stesso leader ha ribadito attraverso un comunicato la sua volontà di non lasciare, rivendicando come il voto di sfiducia non abbia «alcuna legittimità costituzionale». Una sfida aperta ai deputati laburisti, dopo le dimissioni di diversi ministri ombra e il tentativo di esautorarlo attraverso la mozione di sfiducia:

«Sono il leader del nostro partito eletto democraticamente per un nuovo modo di fare politica con il 60% dei voti dei membri del Labour e dei sostenitori e non li tradirò dimettendomi», ha spiegato Corbyn

 

Anche nel caso si arrivasse a una nuova elezione per la segreteria, Corbyn correrebbe per una ricandidatura bis. Convinto di poter contare non soltanto sulla maggior parte degli elettori laburisti, ma anche sui sindacati. Quel che è certo, al di là delle gerarchie interne tra i laburisti, è che il partito resta profondamente diviso proprio quando i Conservatori attraversano il loro peggior momento. Ancora senza un leader, dopo le dimissioni di David Cameron: il suo sostituto sarà annunciato il 9 settembre. Potrebbe essere il favorito Boris Johnson, l’ex sindaco di Londra e portavoce della campagna vincente al referendum. Ma si scalda anche l’attuale ministro degli Interni Theresa May, così come Stephen Crabb.

A sfidare Corbyn, invece,  si preparano in casa Labour il vice leader Tom Watson e anche Angela Eagle, esponente di una sinistra interna meno radicale e tra i membri del governo ombra che hanno lasciato dopo il voto sul Brexit e lo scontro aperto tra i laburisti.

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