In difesa del capitalismo

Un sistema con le sue storture, ma che ha avuto più successo di qualsiasi altro nella storia. E che, malgrado in molti lo annuncino trionfanti, non è affatto morto

Il capitalismo e’ quindi, per la sua propria natura, una forma o un sistema di cambiamento dell’economia e non solo non è mai statico, ma nemmeno puo’ esserlo. […] Un processo di mutazione dell’industria – se posso mutuare un termine dalla biologia – che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo incessantemente il vecchio, creando incessantemente il nuovo. Questo processo di Distruzione Creatrice e’ il fondamento essenziale del capitalismo. E’ in questo che consiste il capitalismo…

Questo arcinoto passaggio del 1975 di Joseph Schumpeter dovrebbe essere fatto leggere a tutti quelli che dall’inizio dell’ultima crisi si stanno dedicando a celebrare il funerale del sistema economico piu’ di successo della storia dell’umanita’. I colpevoli, cosi’ affermano i becchini, sono gli eccessi del capitalismo, della strutturale inefficienza del mercato, delle storture neoliberiste: se Vincent de Gournay o Adam Smith fossero vivi, insomma, vedrebbero nel mondo di oggi la perfetta realizzazione delle loro idee. Sarà. Se potessimo tornare indietro nel tempo di un secolo, all’apice del capitalismo industriale, noteremmo immediatamente quanto e’ instabile il sistemaeconomia. Un’occhiata veloce al sito del NBER mostra come – tra il 1854 ed il 1919 – si contino 16 cicli economici (uno ogni 4 anni) mentre tra il 1945 ed il 2001 se ne siano susseguiti solo 10 (uno ogni 5.5 anni), con addirittura gli ultimi due che sono durati rispettivamente 8 anni scarsi (1982-1990) e 10 anni tondi (1991-2001)!

IL SISTEMA NELLA STORIA – Le cosiddette “storture” del capitalismo sembrerebbero quindi diminuite; magari con l’eta’ il capitalismo e’ diventato piu’ maturo, piu’ riflessivo. O magari quello che abbiamo visto negli ultimi decenni e’ qualcosa di profondamente diverso dal capitalismo industriale di fine ‘800. Fino agli anni ‘30, infatti, i pro del sistema avevano reso del tutto accettabili i contro; la crescita in media era elevata, al punto che lo stesso Buffet ha definito il XIX secolo “un secolo meraviglioso” per un investitore. Non erano comunque mancate le crisi: la Lunga Depressione arresto’ la crescita mondiale tra il 1870 e il 1890; il panico del 1907 vide un crollo del 50% del mercato azionario e il fallimento di numerose banche; nei primi anni ’20 ci fu una forte crisi del settore agricolo. Cio’ che rende queste crisi meno famose, e’ che non furono in grado di cambiare l’attitudine della societa’ nei confronti del mercato: potevano dare luogo a modifiche regolamentari che permettessero ai mercati di funzionare meglio (come le leggi antitrust approvate negli USA nel primo decennio del ‘900), ma il principio fondamentale per cui in un sistema capitalistico il mercato si organizzava bene da solo non venne meno. Nel 1929, tuttavia, una delle peggiori recessioni della storia sconvolse il mondo intero, e anche il modo di guardare al mercato cambio’. In fondo, vicino agli Urali, un paese con un’organizzazione che era l’esatto contrario del mercato autonomo e decentralizzato prosperava nonostante la crisi globale, quindi valeva la pena quanto meno ibridare il modello.

STORTURE E CORREZIONI – Si e’ cercato allora di introdurre una serie di strumenti per “correggere” gli effetti negativi del sistema, per due motivi fondamentali: gli effetti negativi del ciclo economico sono piu’ difficili da sopportare all’aumentare del livello di benessere; in un sistema democratico, un momento di ciclo negativo si traduce spesso e volentieri in una sconfitta per il governo in carica. Facendo finta di ignorare l’insegnamento di Schumpeter, secondo cui la distruzione e’ il prerequisito per l’innovazione, e quindi per una crescita di lungo periodo, ignorando altresi’ gli effetti di lungo periodo degli interventi diretti dello Stato nell’economia – molti degli stessi provvedimenti adottati da Coolidge prima e da Roosevelt poi in risposta alla crisi del ’29 sono un interessante antologia di “rovinosi eccessi di zelo”. Il punto, persino banale ma che ad un anno dalle prime avvisaglie di crisi non fa male ribadire, e’ il seguente: alla base del sistema capitalistico c’e’ la distruzione. Si puo’ scegliere legittimamente di pregiudicare un po’ di crescita per ridurre gli effetti negativi nei periodi di crisi, e spetta ai governi farlo. Ma pretendere di avere la creazione senza la distruzione… Oltreoceano dicono “picking nickels in front of a bulldozer”.

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