“I’m sorry for Silvio”: su Facebook tutti a scusarsi con Obama

27/05/2011 di Dario Ferri

Presa d’assalto la pagina del presidente degli Stati Uniti. Ma gli utenti cominciano ad arrabbiarsi

“I’m sorry Mr President, I’m Italian. Mr Berlusconi is not speaking in my name”: da qualche ora la bacheca di Barack Obama su Facebook è piena di messaggi di utenti italiani che chiedono scusa per quanto detto da Silvio Berlusconi al presidente degli Stati Uniti durante un incontro informale ai margini del G8. E la cosa sta facendo arrabbiare gli americani, che chiedono di smetterla (“Attenzione italiani: Sappiamo che Berlusconi è un vile, sporco figlio stupratore. È possibile smettere di scusarsi ora”) e minacciano di segnalare per spam gli utenti: “Dite ai vostri amici che il presidente non legge questa pagina e che spammare in questo modo vi fa solo disonore”).

I COMMENTI – I messaggi cominciano ad essere centinaia, e sono tutti, o quasi identici.

I’m sorry Mr President, I’m Italian. Mr Berlusconi is not speaking in my name. He does not speak in the name of all honest Italians!!

Il che vuol dire, e si capisce, “Mi dispiace signor Presidente, sono italiano/a. Berlusconi non parla a mio nome e non parla a nome di tutti gli italiani onesti. E’ la potenza della rete che si dispiega in tutta la sua forza: i cittadini si mettono in diretto contatto con la Casa Bianca per chiedere scusa a nome del loro presidente del Consiglio. Barack Obama prenderà una posizione ufficiale? Difficile, il galateo istituzionale glielo impedisce. Ma d’altronde l’opinione della White House sul premier Berlusconi era già ampiamente trapelata al tempo di Wikileaks, quando i diplomatici americani avevano descritto Berlusconi ad Obama come un sostanziale  pagliaccio infilato negli scandali del Bunga Bunga. Così, fra l’altro, i commenti degli utenti americani. Lo scheletro dei commenti italiani, invece, si mantiene più o meno quello già visto, con chi precisa la “situazione processuale” di Silvio Berlusconi e chi lo definisce un politico che cerca di “spaccare la nostra democrazia”.

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