Il cuoco torturato dalla nuora di Gheddafi

07/09/2011 di Claudia Santini

Adnan Tam mostra i segni delle punizioni corporali


Dopo la storia della tata etiope che lavorava presso Hannibal Gheddafi, Shweyga Mullah, che è stata punita con dell’acqua bollente che le ha sfigurato il viso, giungono nuove testimonianze della violenza inaudita della famiglia del Rais. I domestici erano regolarmente soggetti a umiliazioni e maltrattamenti molto simili a torture.

LA STORIA DI ADNAN TAM – Un uomo turco di 54 anni è stato uno degli sfortunati domestici di Hannibal Gheddafi, presso il quale ha lavorato come cuoco. Neanche Tam, attualmente rifugiato all’ambasciata turca presso Tripoli, è sfuggito al sistema di punizioni della famiglia libica. L’uomo, in particolare, ha dovuto subire la furia di Aline Skaf, moglie di Hannibal Gaddafi, che lo ha accoltellato. Tam ha lasciato la propria patria più di un anno fa, con la promessa che avrebbe lavorato a casa di un “grande uomo d’affari”. Una volta arrivato a Tripoli, ha capito che si trattava di Gheddafi; inizialmente veniva trattato con umanità, ma le cose sono cambiate a Febbraio. La Turchia ha infatti preso le parti dei ribelli libici in rivolta contro il regime; al momento dell’arrivo di una nave mandata ai ribelli dai turchi, i Gheddafi hanno iniziato a chiamarlo “il traditore turco”, a umiliarlo ed insultarlo in ogni modo possibile. Hannibal e i suoi uomini lo picchiavano ad ogni occasione e la moglie Aline, nota nevrotica, lo ha accoltellato al braccio e sulla schiena. La stretta sorveglianza domestica gli ha impedito di scappare.

L’INCUBO –Se anche fossi riuscito a scappare, mi avrebbero trovato immediatamente dato che Tripoli era ancora sotto il controllo del regime Gheddafi“, ha raccontato l’uomo. L’orrore non finisce qui: presso Hannibal lavoravano persone provenienti da Sudan, Mali, Siria, Etiopia, Egitto e Algeria e molti di loro subivano maltrattamenti in continuazione, se non venivano direttamente uccisi per metterli a tacere. Tam è finalmente riuscito a scappare lo scorso 21 agosto, quando Gheddafi e la moglie se ne sono andati dopo l’entrata in Tripoli dei ribelli. L’uomo è uscito da una finestre della lavanderia e si è nascosto in una moschea finchè ha aperto l’ambasciata. L’imam della moschea lo ha protetto per una settimana, nutrendolo e dissetandolo. Nel frattempo, ha passato qualche giorno in un ristorante turco, nel quale ha potuto seguire gli avvenimenti. Una volta riaperta l’ambasciata, è andato a raccontare la sua storia. Tam è ora in attesa di tornare in Turchia e l’ambasciatore sta lavorando per procurargli i documenti, confiscati dalla famiglia Gheddafi per bloccarlo a Tripoli.

ASSISTENZA – Tam è ora scioccato, non riesce a dormire, è spaventato e richiede il sostegno economico del suo paese per potersi curare.

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