Il caso Omar e il segreto di Stato

27/05/2014 di John B

Il 17 febbraio 2003 una squadra di agenti segreti della CIA, con il supporto di operatori dei servizi segreti e antiterrorismo italiani, rapì a Milano l’imam Abu Omar, trasferendolo su un aereo militare che lo portò in Egitto, dove fu internato in carcere e rilasciato solo quattro anni più tardi. Dall’Egitto, però, Abu Omar ebbe modo di raccontare ciò che era accaduto, la moglie presentò una formale denuncia e la Procura di Milano (che già stava svolgendo indagini sull’imam, sospettato di attività terroristiche) aprì un’inchiesta sul rapimento. L’Autorità Giudiziaria indagò sia gli agenti della CIA che quelli italiani, fino ai vertici dei servizi segreti nostrani, compreso l’allora direttore del SISMI, Nicolò Pollari e spiccò numerose ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico di numerosi agenti segreti americani e italiani. Com’è immaginabile, quelli americani risultarono irreperibili in quanto, prevedendo la burrasca, erano rientrati negli Stati Uniti (e le autorità americane non hanno mai concesso l’estradizione nè fornito informazioni utili alla loro individuazione) mentre quelli italiani non ebbero altrettanta fortuna e finirono in galera, compreso Marco Mancini, all’epoca direttore delle operazioni del SISMI.

LE INDAGINI – Furono eseguite perquisizioni nella sede del SISMI e fu sequestrata una gran quantità di documentazione (anche non pertinente all’indagine). Un solo agente americano sarebbe stato rintracciato e arrestato a Panama (nel 2013), ma le autorità panamensi lo rilasciarono Il giorno dopo, consentendogli di riparare prontamente in patria. Nel corso del processo a Milano, il generale Pollari oppose il Segreto di Stato ai magistrati che lo interrogavano. L’esistenza del Segreto di Stato sulla vicenda fu confermata dal Governo Italiano (all’epoca il Capo del Consiglio era Romano Prodi) e sarebbe stato confermato anche da tutti i successivi Governi (Berlusconi, Monti). Fra interpelli, ricorsi e controricorsi, condanne e annullamenti, si è alla fine arrivati alla Corte di Cassazione e alla Corte Costituzionale che da ultimo (con una sentenza di qualche giorno fa) hanno chiuso definitivamente la questione stabilendo la sussistenza del Segreto di Stato non solo in ordine ai rapporti tra servizi segreti italiani e servizi segreti americani, ma anche alla gestione dell’operazione da parte dei vertici italiani e quindi agli ordini impartiti agli agenti. Ciò ha determinato l’annullamento definitivo delle condanne a carico dei direttori del SISMI, Pollari compreso. I giudici hanno stabilito che l’azione penale doveva essere interrotta nel momento stesso in cui era stato posto il Segreto di Stato. Alla fine di tutta la giostra, il solo ad aver pagato è stato un sottufficiale dell’antiterrorismo italiano, che aveva patteggiato la pena alcuni anni fa. Quali considerazioni si possono trarre su tutta questa storia?

I FATTI – Cerchiamo di inquadrare i fatti in un contesto logico e capiremo perché nella vicenda il nostro Paese e la nostra Giustizia hanno dimostrato l’incapacità di gestire situazioni così delicate in modo equilibrato. Innanzitutto va considerato che gli agenti della CIA operarono nell’ambito dei poteri e delle autorizzazioni concessi dal Governo americano. E’ noto che dopo l’11 settembre 2001, le autorità americane avevano di fatto autorizzato qualsiasi attività utile a eliminare fisicamente o a catturare terroristi in qualsiasi parte del mondo. Ciò che molti non sanno è che questo genere di operazioni, chiamate in gergo Extraordinary Rendition, non sono iniziate nel 2001 ma già negli anni precedenti erano state autorizzate dalle varie amministrazioni americane, sia repubblicane che democratiche. Fra i casi conosciuti, possiamo citare quello dei terroristi che avevano sequestrato la nave Achille Lauro nel 1985 (in quella circostanza i caccia militari americani dirottarono un volo di linea egiziano) o la cattura del terrorista Fawaz Younis nel 1987 al largo di Cipro, e le operazioni autorizzate durante la presidenza Clinton negli anni novanta. La differenza sta solo nel fatto che prima del 2001 ogni operazione era singolarmente autorizzata dal governo americano, mentre dopo quella data alla CIA e agli altri servizi anti-terrorismo militari e civili fu dato un potere molto più ampio. Dal punto di vista americano, quindi, gli agenti della CIA che sequestrarono Abu Omar operarono in questa cornice di autorizzazioni. Si è a lungo discusso del fatto che le accuse ad Abu Omar erano infondate, al punto che qualcuno lo ha dipinto come una povera vittima innocente. In realtà Abu Omar è stato condannato (in contumacia) dalla Giustizia italiana per terrorismo internazionale. Ora, non solo gli agenti della CIA operarono nel rispetto delle proprie leggi ma è evidente che furono autorizzati anche dai servizi antiterrorismo italiani, tant’è che questi ultimi collaborarono con loro e parteciparono fisicamente all’operazione. Ed è ragionevole presupporre che il Governo italiano autorizzò questa collaborazione (ciò spiega l’apposizione del Segreto di Stato). Processarli e condannarli, quindi, non è stata una cosa molto logica e sensata, dal momento che operarono nel rispetto delle proprie normative (di più, adempiendo ai propri doveri), con l’autorizzazione delle autorità italiane e la cooperazione dei corrispettivi servizi italiani.

CONDANNE – Anche la condanna per patteggiamento di un maresciallo dei Carabinieri che partecipò all’operazione appare oggi evidentemente insensata. Il maresciallo fu condannato nonostante la questione del Segreto di Stato fosse già stata sollevata. Se non avesse patteggiato, probabilmente oggi anche lui beneficerebbe della sentenza di annullamento che ha salvato tutti i suoi colleghi e superiori. In tutta questa assurda vicenda emerge chiaramente che la magistratura è andata oltre i poteri che le sono attribuiti. Innanzi all’apposizione del Segreto di Stato, infatti, i magistrati avrebbero dovuto fermarsi. A quel punto, solo il Parlamento aveva il potere di valutare l’operato del Governo e l’opportunità di apporre il Segreto di Stato. Piaccia o no, ciascun potere dello Stato deve fare il suo e rispettare i propri limiti. Se ben tre governi (peraltro di opposti orientamenti politici) hanno confermato il Segreto di Stato e il Parlamento non li ha sfiduciati per questo, sarebbe stato il caso di riflettere sull’opportunità di andare avanti in un’azione penale che ha avuto un costo enorme, non solo economico ma anche di immagine internazionale, per ottenere come unico risultato la condanna di una insignificante pedina. Al contrario, l’azione politica del Parlamento è stata decisamente più efficace, in quanto con la Legge n. 124 del 2007, poi integrata e modificata nel 2012 ha riformato i servizi segreti, i limiti entro i quali essi possono operare e la disciplina del Segreto di Stato. Questo ci consente almeno di individuare quale sarebbe stato il comportamento corretto e opportuno da tenere sul caso Abu Omar. Una volta accertato che l’imam era stato rapito dalla CIA con la cooperazione delle autorità italiane e che verosimilmente l’operazione era stata autorizzata ai massimi vertici, preso atto dell’apposizione del Segreto di Stato, l’azione penale avrebbe dovuto fermarsi nei confronti di tutti gli indagati. E da quel punto avrebbe dovuto prendere piede l’azione politica, in sede parlamentare, anche attraverso gli appositi organi di controllo lì istitutiti, al fine di valutare l’opportunità della condotta del Governo e di mettere a punto i provvedimenti legislativi più idonei per evitare il ripetersi di simili situazioni. Un percorso chiaro, dove ognuno fa la propria parte. Troppo difficile?

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