I sessantottini si tengono stretta la cattedra. Gli under 40? Sono solo sei i prof di ruolo all’Università

13/11/2015 di Redazione

Sei. Sei su 13.263. Chi sono? Sei sono i professori ordinari under 40 nelle università statali italiane. Sei su oltre tredicimila. Lo 0,045%. Una vergnogna. In Italia, possiamo dirlo senza tema di smentita, l’Università è saldamente in mano ai vecchi. E ai “baroni”, ci verrebbe da dire.

Lo spunto lo abbiamo trovato sul sito dell’Espresso, dove Sabina Minardi, racconta chi sono questi “magnifici sei” in grado di conquistarsi una cattedra in quel mausoleo che è l’Università italiana.

I dati sono impressionanti. Spiazzanti. Vergognosi. Una volta letti, qualsiasi ragazzo italiano che avesse solo lontanamente in testa di fare la carriera universitaria, dovrebbe fare solamente una cosa: le valige. Perché in Italia per lui non c’è speranza, a meno che non abbia almeno un parente stretto professore universitario.

Scrive Sabina Minardi:

il trend è impietoso: l’innalzamento dell’età media, in Italia, prosegue da 25 anni. Dal 1988 al 2013 l’età è aumentata di sei anni, raggiungendo quasi i 52 anni: per gli ordinari la media è di 59 anni, 53 per gli associati, 46 per i ricercatori, secondo l’ultimo Rapporto Anvur sullo stato del sistema universitario e della ricerca. E se la presenza delle donne è cresciuta, passando in 25 anni da 26 a 36 ogni 100 docenti (ma tra gli ordinari la percentuale è del 21 per cento), dal 2008 al 2013 la riduzione dei ricercatori ha penalizzato anche loro.

Il tutto, ovviamente, con buona pace di ogni possibilità di innovazione del nostro sistema universitario che, evidentemente, non solo spinge inesorabilmente all’omologazione chiunque entri in un ateneo nostrano, ma anche per l’età media altissima con cui si prende una cattedra. Una media età, quella italiana, che non conosce eguali in Europa, pare:

All’estero il quadro è diverso: se il Paese con i docenti più giovani è Cipro, con una percentuale di professori con meno di 40 anni del 50,7 per cento, anche la Germania ha quasi la metà dei suoi docenti al di sotto di quella soglia (49,2 per cento). Puntano sui giovani l’Olanda (43,4 per cento), il Belgio (30,2), il Portogallo (35,1), il Regno Unito (29,5). Nel confronto tra under 40 si collocano meglio di noi, secondo l’Annuario Scienza Tecnologia e Società 2014 (il Mulino), praticamente tutti: l’Austria e la Finlandia (28 per cento), la Spagna (27,4), la Francia (25,9). Siamo il Paese coi docenti più vecchi.

Il peggio, sotto questo punto di vista, arriva dalla sapienza di Roma:

La Sapienza di Roma, il più grande ateneo d’Italia e d’Europa: «L’età media degli ordinari nel 2015 è addirittura di 61,9 anni. E ancora più preoccupante è l’età media dei ricercatori: 52 anni», dice il rettore Eugenio Gaudio

Letto questo massacro generazionale, incuriositi, ci siamo andati a spulciare i dati del Miur, e abbiamo ricavato questa tabella, che mostra come la maggior parte dei nostri docenti universitari sia figlia della generazione del ’68. Infatti, coloro che manifestavano oltre 45 anni fa chiedendo una società più libera, hanno occupato le cattedre universitarie a tempo indeterminato, senza alcuna intenzione di abbandonarle. Le hanno occupate in maniera totalizzante, lasciando spazio solo a parenti strettissimi e pochi altri.

Ecco la tabella

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E’ evidente: tra nati nel 1975 e nati nel 1976 siamo a 12 ordinari. Non  certo un caso che la “classe” che può vantare più professori è quella del 1947 (21 anni nel ’68, sessantotto anni oggi) con 883 docenti, seguita a ruota dalla classe 1948 con 862 professori. Per trovare una donna “di ruolo” tra i “giovani” bisogna arrivare alle nate nel 1973 dove ci sono ben nove fortunate quarantaduenni.

Insomma, anche se a Palazzo Chigi c’è un quarantenne, il problema generazionale in altri ambiti, diversi dalla politica, è ancora sotto i nostri occhi. La generazione fantasma è ancora tale, con buona pace degli ex sessantottini rivoluzionari.

Proprio il premier dovrebbe metterci una piccola pezza, almeno stando a quello che lui stessa ha detto. Un mesetto fa, parlando della legge di stabilità, aveva parlato di un provvedimento orientato a far rientrare alcuni dei cosiddetti cervelli in fuga, in ambito universitario.

Ospite di Fabio Fazio, Renzi disse:

«Nella legge di stabilità ci sarà una misura ad hoc per portare in Italia 500 professori universitari anche italiani. Un modo per attrarre i cervelli con un concorso nazionale basato sul merito: daremo anche un gruzzolo per progetti di ricerca».

Certo, un inizio, poco di più. La strada, purtroppo, appare tutta in salita.

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