Morte di Giulio Regeni: chi ha paura di parlare con i giornalisti?

04/02/2016 di Redazione

Giulio Regeni, lo studente italiano trovato morto questa notte in Egitto, sarebbe stato torturato, come conferma la procura di Giza. Su questo aspetto però divergono i racconti delle varie autorità egiziane, alcune delle quali starebbero escludendo la possibilità che il ragazzo sia stato ucciso, propendendo per l’incidente. Sul corpo di Giulio Regeni però sarebbero state trovate ferite compatibili con pugni, coltellate e persino bruciature di sigaretta incompatibili con un incidente stradale o di alcun tipo, e già la politica si agita chiedendo un’inchiesta congiunta per evitare – evidentemente – che la sola inchiesta egiziana possa rivelare verità diverse rispetto a quelle che hanno causato la morte di Giulio Regeni. In attesa dei risultati definitivi dell’autopsia, le prime indiscrezioni riferiscono di mutilazioni al naso e all’orecchio, bruciature di sigaretta e segni di coltellate all’altezza della spalla.

GIULIO REGENI E LE FONTI CHE HANNO PAURA

Un giallo nel giallo è poi quello denunciato dall’agenzia Dire. Secondo Dire, infatti, alcune fonti contattate in Egitto per commentare l’episodio dell’uccisione di Giulio Regeni si sarebbero mostrate restie a rilasciare commenti e opinioni attraverso internet o per telefono. Le fonti contattate – di origine italiana, egiziana o di altra nazionalità – sono studenti, giornalisti freelance o di organizzazioni umanitarie. Perché hanno dimostrato questa paura? Cosa temono? Intanto la procura di Giza ha confermato segni di torture sul corpo di Giulio Regeni, lo studente italiano di 28 anni trovato morto ieri ai margini dell’autostrada tra Il Cairo e Alessandria, nella periferia della capitale egiziana. Lo ha detto Hosam Nassar, direttore della procura di Giza, secondo quanto riferisce il quotidiano egiziano “Youm al Sabea”. In precedenza lo stesso giornale aveva pubblicato le dichiarazioni di Khaled Shalabi, direttore del Dipartimento investigativo di Giza, secondo cui “dalle indagini preliminari emerge che la morte e’ stata provocata da un incidente d’auto”. Giulio Regeni era sparito il 25 gennaio scorso in un distretto centrale di Giza, a sud del Cairo, nel quinto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir: una ricorrenza temuta dalle autorita’ egiziane che hanno “blindato” le principali piazze del paese nel timore di manifestazioni di massa contro il governo.

GENTILONI: «VOGLIAMO LA VERITÀ»

Intanto è stato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a chiedere tutta «la verità» sulla morte di Giulio Regeni, scomparso lo scorso 25 gennaio al Cairo e ritrovato ieri cadavere nella periferia della capitale egiziana, sulla strada che porta ad Alessandria.

«Vogliamo che la verità emerga fino in fondo, lo dobbiamo soprattutto alla famiglia, colpita in modo irreparabile e che almeno pretende di conoscere la verità”, ha detto Gentiloni ai microfoni di RaiNews24»

 

Ma non solo: è emerso anche come Regeni scrivesse per il Manifesto sotto pseudonimo. Il giornalista Simone Pieranni ha confermato quanto raccontato ai microfoni di Radio Popolare dal collaboratore Giuseppe Acconcia: «Aveva preferito non firmare gli articoli perché “aveva paura per la sua incolumità». il Manifesto, tramite la sua direttrice Norma Rangeri ospite di Lilli Gruber nel corso di Otto e mezzo, ha annunciato che pubblicherà l’ultimo articolo di Regeni, arrivato in redazione circa dieci giorni giorni fa. Il Manifesto ha ribadito l’intenzione («Non possiamo tacere») anche dopo la diffida giunta dalla famiglia del ragazzo: «Giulio Regeni aveva espresso la volontà di non pubblicare il citato articolo se non con uno pseudonimo, proprio al fine di non mettere in pericolo l’incolumità degli autori e delle loro famiglie» fa sapere il legale.

 

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