Gianluca Grignani è rock. E voi non avete capito un c…

02/01/2016 di Boris Sollazzo

Che palle. Sì, forse iniziare un editoriale così non è il massimo, però è inevitabile usare questa espressione di fronte al bacchettonismo militante scatenato dalla performance di Gianluca Grignani, di sicuro sui generis, al concerto di capodanno. “È ubriaco!”. “Sta stonando!”. Oddio, scandalo.

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Allora, mettiamo i puntini sulle i. Se De Gregori devasta i suoi grandi successi nei live per evitare che chi paga il biglietto  – e i suoi cachet, di fatto – li canti con lui, allora è un figo, se lo fa Grignani che è costretto da anni a ritirar fuori Destinazione Paradiso, è un cretino.
Perché non piace alla gente che piace.
Se Vasco Rossi declama biascicando a Sanremo Vita Spericolata è un mito (ma allora, anche senza social, scrissero e commentarono tutti scandalizzati), uno che entra nella storia, se lo fa lui al concerto di capodanno di Gigi D’Alessio a reti Mediaset unificate è uno da massacrare.
Perché il tiro al piccione in Italia è sport da vigliacchi: colpisce il perdente, quello che è sempre coerente con se stesso (sì, anche con le sue fragilità) e mai l’idolo dei benpensanti. Quello che viene invitato a Che tempo che fa e a naso al buon Gianluca lì non ce lo vedremo mai.

È facile sparare su quel capellone che al suo esordio nel Festival della Canzone Italiana si mise la camicia fuori dai pantaloni e fece arrabbiare Pippo Baudo: non è potente, non è protetto, si mette in gioco sempre e comunque. E poi, parliamoci chiaro, il 31 è riuscito in un miracolo: ha fatto sembrare simpatico Gigi D’Alessio, che mentre duettava con lui faceva facce degne della Corrida di Corrado.

Avete rotto le palle: in una musica italiana in cui sono tutti bravi, belli e politicamente corretti (Ligabue, Jovanotti e tutti i Negramaro li daremmo in sposi alle nostre figlie, sorelle e cugine), i Grignani o i De André (Cristiano) sono un soffio di aria fresca. Sì, io sono dalla parte di uno come Zucchero che va a cantare in un casinó e insulta i satolli ricconi che lo ascoltano distrattamente e senza rispetto, non del D’Alessio che canta male già da sobrio, delle popstar il cui maggior momento di anticonformismo non è fumarsi una canna ma al massimo mettere nel caffè lo zucchero di canna.
Il rock è anche eccesso: piangiamo gli eroi dark che si sono consumati tra droga, alcol e stanze d’albergo devastate, perché stranieri, esotici. Al primo italiano che fa una marachella da nulla – perché in quel concerto per non annoiare a morte gli spettatori quella botta di vita serviva eccome (chi avrebbe parlato di quel carrozzone altrimenti?) – escono fuori le bacchettate da maestrini e le battute da vecchie zie.

Io mi sono rotto le scatole di spotify e delle radio commerciali che obbediscono prone ai produttori, dei live che sembrano, nel migliore dei casi, baracconate di effetti speciali, e nel peggiore cantate da spiaggia senza faló e birre. Io sto con Gianluca Grignani che non ha paura di mostrarsi com’è, di fare dichiarazioni senza rete e di fottersene di chi non la pensa come lui. E di cantare male, e rimanere lì sul palco, magari ubriaco. Vorrei intervistarlo e sapere perché, magari, non stare lì a puntare l’indice. Vivere è anche sbagliare, miei cari moralisti.
Ma tanto questo paese si scandalizza per una bestemmia, un cantante ubriaco e un conto alla rovescia sbagliato, per quelli che benpensano è molto meglio smoccolare sulla propria poltrona che fare la rivoluzione davvero. Più comodo e senza rischi.
A volte esagero, Non voglio essere un fenomeno, Il più fragile, Cuore randagio, Il re del niente, Il mio peggior nemico. Basta ascoltarlo, invece di prenderlo in giro, per capire che lui non ha mai mentito su chi sia. Ma ne La fabbrica di plastica della tv e dei radical chic, uno così meglio ridicolizzarlo, rimanendo sicuri e coperti nella propria Galassia di Melassa.
E allora, sinceramente, più che augurarvi una Destinazione Paradiso, io vi mandarei più prosaicamente a quel paese. Io, francamente, preferisco farmi un bicchierino con Grignani.

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