Forza Italia nel limbo. I big all’assalto del potere di Maria Rosaria Rossi

16/06/2016 di Alberto Sofia

Senza più l’ansia per la salute del Cav, nel day after della delicata operazione a cuore aperto di Silvio Berlusconi al San Raffaele, in casa azzurra l’imperativo sbandierato è adesso il (tentato) “ritorno alla normalità“. Una versione ripetuta come un mantra, un’operazione almeno di facciata. Ma quanto serve per mostrare, almeno in pubblico, una finta tregua dentro un partito, Forza Italia, ripiombato da giorni in un clima rovente da guerra tra bande.

I MEDICI RASSICURANO SUL CAV, MA FORZA ITALIA RIBOLLE

Perché, dietro il silenzio dei big e le smentite dei vertici, in realtà Fi resta ancora nel limbo. Né sembra bastare il bollettino dei medici Zangrillo e Alfieri per rassicurare un ambiente quasi imploso non appena rimasto senza guida: «Va tenuto conto dell’età e non solo, ma non mi sentirei di dire che non potrà fare una campagna elettorale o politicaDeciderà lui, nessuno potrà cambiare la sua decisione», sono le parole dei medici sul futuro del Cav. Tradotto, in chiave politica, il timone resta ancora nelle mani del leader. E sarà lui a decidere quale sarà il destino di Forza Italia.

FORZA ITALIA E LE MANOVRE PER LA SUCCESSIONE

Eppure in casa azzurra, al di là delle dichiarazioni di rito, c’è chi considera l’intervento al cuore ormai uno spartiacque. E guarda già oltre. Non è un caso che dietro le quinte sia ormai scattata la lotta di successione tra le diverse anime forziste: moderati contro filo-salviniani, Nord contro Sud, peones contro pasdaran. Ma soprattutto vecchi colonnelli contro il cerchio magico. O almeno una parte di questo. Sì, perché la grande accusata, nelle vesti del “capro espiatorio” è la “tesoriera” Maria Rosaria Rossi.

L’amministratrice straordinaria di FI, la “badante” di Arcore – così come venne bollata in modo sprezzante – al quale lo stesso Berlusconi affidò le “chiavi” del partito. Perché alla plenipotenziaria Rossi resta il potere di firma sul simbolo, sulle liste, sulle stesse candidature. Tradotto, tutte le scelte più importanti passano dalla sue mani. E non è un caso che, chi tenta adesso la scalata dentro FI, la consideri come l’ostacolo principale da rimuovere.

L’ASSALTO ALLA “BADANTE” ROSSI

Nel giorno stesso dell’intervento del Cav, era bastato il primo vertice senza Silvio Berlusconi, l’Ufficio di presidenza convocato per approvare il bilancio dell’esercizio finanziario 2015, per mostrare un antipasto dell’annunciata lotta per il potere. Altro che riunione tecnica: l’assemblea si era subito trasformata in uno sfogatoio sulla gestione del partito della senatrice Rossi, assente perché rimasta al San Raffaele dal Cav. Tutto mentre la sua relazione, letta da Sestino Giacomoni, incaricato dall’ex premier di presiedere la riunione, veniva presa d’assalto dal capogruppo di palazzo Madama Paolo Romani. Bollata come  “debolissima”, non in grado di dare prospettive future a un partito, come ha aggiunto pure il senatore Altero Matteoli, in piena diaspora, ormai diventato un «condominio di poche persone».

Il giorno dopo, tra i palazzi romani, nessuno o quasi preferisce però esporsi dopo lo scontro. Lo stesso Romani resta in silenzio, ma chi ha assistito all’Ufficio di presidenza, seppur coperto dall’anonimato, racconta come le manovre per l’ammutinamento contro Rossi siano ormai in atto da tempo. Ostracizzata da un partito che mal sopporta la sua influenza sul Cav, che la considera troppo potente. E che già la bollò tra i responsabili della rottura con Fitto e i suoi, così come della scissione con l’Ala di Denis Verdini. Fu proprio Rossi ad attaccare l’ex sodale del Cav, poi passato alla corte di Renzi, nei giorni amari per Fi dell’elezione di Mattarella al Quirinale. Ovvero, quando definì le scelte nazarene di Verdini, in coppia con Gianni Letta, come quelle di un “duo tragico“. Adesso è lei a finire nella graticola azzurra, mentre lo storico collaboratore del Cav sembra tornare in auge.

LE AMBIZIONI DI PAOLO ROMANI E LE VOCI SUL DIRETTORIO

«Vogliono liberarsi di lei per prendersi quel che resta di Forza Italia», spiegano a Giornalettismo. E a guardare con attenzione al suo incarico, raccontano a microfoni spenti da Montecitorio, ci sarebbe anche stesso Romani: «Uno che si comporta come un vice-Berlusconi in sua assenza, senza essere stato nominato tale da nessuno». E che punta pure a proporsi in un possibile Direttorio di reggenti, insieme al capogruppo alla Camera Renato Brunetta. Un comitato che includerebbe di certo anche Maria Stella Gelmini (per il Nord) e Mara Carfagna (per il Sud), dopo il pieno di preferenze alle Amministrative. Al contrario, Antonio Tajani, individuato come il possibile “coordinatore” dell’area centrale, rischia di pagare l’operazione flop Marchini alle Comunali romane.

IL SILENZIO DI MARIA ROSARIA ROSSI

Su Rossi, così come sui prossimi mesi di FI, resta però del Cav l’ultima parola. Tanto che la senatrice stessa si trincera nel silenzio. Consapevole come fu Berlusconi stesso ad affidargli l’incarico. Nelle sue mani, non è un mistero, l’ha rimesso. Ma se vorrà revocarlo, sarà soltanto il Cav a farlo. Una prospettiva nemmeno così scontata, tutt’altro:  «Lui è affezionato a Maria Rosaria. Per noi farà pure danni, ma non è detto che ceda alle nostre richieste», spiega una parlamentare azzurra.

Ma c’è anche un altro nodo in casa FI. Perché, si spiega, non mancano pure i timori sulla situazione economica di Forza Italia, con Berlusconi che resta ancora oggi il principale creditore, con oltre 90 milioni di euro di fideiussioni personali a garanzia del passivo azzurro nel 2015. Tradotto, le incognite non mancano. E anche se per Berlusconi l’ora dell’uscita dalla terapia intensiva è già arrivata, all’orizzonte resta comunque una riabilitazione che durerà almeno fino alla prima metà di luglio. Poi, come e quando tornerà a occuparsi di politica, non potrà che essere discusso dal Cav con i familiari. E con la figlia Marina su tutte. A sua volta irritata contro chi lo avrebbe costretto a quelle fatiche considerate evitabili nell’ultimo mese di campagna elettorale per le Amministrative.

IL DESTINO DEL CAV,  LA FAMIGLIA, IL RITORNO DI GIANNI LETTA

Certo, non è immaginabile un’uscita di scena del Cav, soprattutto ora che il percorso di guarigione procede senza complicazioni. Ma familiari e collaboratori più vicini all’ex premier non potranno che spingere per un progressivo “disimpegno”. Perché ora la difesa della salute sarà prioritaria: «Silvio riprenderà a fare quello che vorrà. Magari senza abbandonare il partito, ma svolgendo il ruolo di padre nobile», ha spiegato pure il fratello Paolo. Già, padre nobile. O “presidente onorario“, come rilancia qualcun altro in Transatlantico. Certo, c’è da giurarci, fosse per Berlusconi resterebbe in prima linea. E la sua volontà non potrà che pesare. In attesa, nel partito i big litigano, ma in pubblico preferiscono il basso profilo. Solo in pochi si espongono, ma più per riprendere chi prepara già il day after: «Chi pensava alla successione ha fatto una falsa partenza. Ho fatto anch’io questa operazione al cuore, per il Cav non ci saranno problemi», è convinto Lucio Malan.

Non è l’unico. Perché pure Nunzia De Girolamo bolla come  «inaccettabili le liti interne» mentre il leader è ancora ricoverato. E la stessa Licia Ronzulli si fa espressione del fastidio crescente nel partito: «Questo è il momento di tacere, ma c’è chi si affanna in modo volgare a pensare alla successione o alla leadership e chi si erge a difensore dell’ultim’ora». La famiglia stessa, invece, vuole il più stretto riserbo. E la sua presenza a protezione del Cav si sente, così come il ritorno della vecchia guardia, degli amici più stretti Da una parte il volto aziendale, quello di Fedele Confalonieri. Dall’altra quello dei collaboratori storici, Niccolò Ghedini e soprattutto Gianni Letta. Lui, il consigliere più fidato, finito nell’ombra con la rottura della strategia nazarena, è pronto a riprendersi le redini.

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