Fondi europei, così l’Italia brucia miliardi in progetti inutili

Fondi europei, così l’Italia brucia miliardi e miliardi di soldi che sembrano europei ma che in realtà sono italianissimi, visto che ogni euro che arriva dall’Europa l’Italia ne spende 2, uno da versare all’Europa come tassa e l’altro come “obbligo di cofinanziamento”, una misura che dovrebbe garantire che ogni paese sia particolarmente responsabilizzato nell’utilizzo dei fondi e che, per una stortura tutta italiana, consente invece che le regioni facciano sostanzialmente quel che vogliono di questi denari.

FONDI EUROPEI, LO SPRECO ITALIANO – “Ogni anno l’Italia spende cifre impressionanti in progetti finanziati con fondi strutturali europei, eppure nessuno è in grado di valutarne gli effetti”, dice Repubblica riprendendo un dossier prodotto da laVoce.info dagli economisti Roberto Perotti e Filippo Teoldi. Negli scorsi cinque anni sono stati messi in campo 504mila progetti di formazione organizzati da amministrazione centrale e regioni, nell’alchimia più varia fra tutti gli enti; progetti di cui “i benefici sono ignoti”. Chi deve finanziare un progetto deve produrre un documento “per fissare obiettivi che poi, tanto, nessuno rispetta. E i soldi diventano una mangiatoia pazzesca per sindacati, assessorati regionali e provinciali”. Il Fse, fondo per la formazione continua e l’accesso al lavoro, il Fesr, quello per le imprese e le infrastrutture, sono come dicevamo finanziati in realtà dallo Stato, perché l’onere di cofinanziamento spetta all’amministrazione centrale e non alla regione o all’ente che poi materialmente eroga il corso, con l’effetto che, per la regione o per la provincia, questi fondi sono totalmente gratuiti, il che crea un margine di rischio non indifferenti.

Photocredit GEORGES GOBET/AFP/GettyImages
Photocredit GEORGES GOBET/AFP/GettyImages

FONDI EUROPEI, IL CONFRONTO – Secondo Tito Boeri “il risultato di questi sforzi è stato finora solo la creazione di una pesantissima burocrazia” che a sua volta alimenta altra burocrazia, quella europea, che per la concessione dei fondi chiede verbosissimi progetti per dimostrare che l’idea rispetta “i quadri strategici nazionali, i piani operativi nazionali, regionali, interregionali”. Carta, carta, carta che va al macero senza che in nessun modo possa servire alla valutazione dei progetti stanziati; meglio sarebbe, dice Boeri, istituire un controllo ex-post sulla validità delle iniziative, da basarsi su serie ricerche, penalizzando i paesi e gli istituti che producono iniziative di scarso valore con la rimozione dai programmi di finanziamento. Il confronto con gli altri paesi europei è poi impietoso: l’Italia fra il 2007 e il 2013 ha offerto corsi a 21mila persone, la Francia a 254mila beneficiati e la Germania a 208mila, ma sono solo 233 gli italiani che hanno concluso il programma di corso, contro 50mila francesi e 32mila tedeschi. Solo il 14% di questi risultava occupato dopo il completamento del corso, in Italia, contro l’85% della Francia e il 35% della Germania.

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