Quel pasticciaccio brutto del finanziamento pubblico ai partiti

Il 20 febbraio 2014 la Camera dei deputati ha approvato la conversione del decreto legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti. Nel 2014 i fondi erogati ai partiti vengono tagliati del 25 per cento, nel 2015 del 50 per cento e nel 2016 del 75 per cento.

Dal 2017 non ci sarà più nulla se non tramite donazioni private e 2 per mille. Eppure, nonostante la vittoria del provvedimento del governo Letta, oggi, a Montecitorio si torna a parlare, ancora, di finanziamento pubblico ai partiti. Perché?

Perché per il 2013 e il 2014 i partiti riceveranno i soldi necessari, anche se non è stato effettuato il controllo dei loro bilanci. Come è possibile? Tutto parte da una Commissione per il controllo dei rendiconti dei partiti che di fatto non ha potuto controllare i bilanci del 2013. Mancanza di personale. E il dramma si è materializzato a fine luglio a Montecitorio. Niente controllo, niente fondi.

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FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI: LA COMMISSIONE SENZA PERSONALE

– Per spiegare il pasticcio delle mancate verifiche dei bilanci occorre fare un passo indietro. Ovvero a fine giugno, quando la Commissione doveva concludere i controlli necessari per ottenere lo sblocco delle erogazioni. Poco prima della scadenza però il presidente Luciano Calamaro ha comunicato ai presidenti di Camera e Senato di non essere stato in grado di svolgere la revisione: carenza di personale. Così, a luglio, l’Ufficio di presidenza di Montecitorio ha approvato la proposta presentata dal deputato di Sel Gianni Melilla, che ha verificato e ha constatato l’assenza dei requisiti. Niente controllo, verifica, giudizio, niente tranche di luglio dei rimborsi elettorali relativi al 2013. Non solo: per dotare di personale particolarmente qualificato la Commissione aveva bisogno di una apposita legge. Così, dopo mesi di stop, ecco che spunta il disegno di legge che si discute oggi a Montecitorio. Un ddl che sembrava porre la soluzione a tutti i problemi. Sembrava.

FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI: IL DDL BOCCADUTRI E LA TRASFORMAZIONE IN COMMISSIONE

– La legge in questione, di cui il primo firmatario è Sergio Boccadutri (ex tesoriere di Sel oggi in quota Pd) assegna alla Commissione il personale qualificato necessario. Una task force composta da cinque dipendenti della Corte dei Conti addetti alle attività di revisione contabile e due dipendenti di altre amministrazioni con le stesse competenze. Ma la questione che preme i partiti è un’altra: il versamento del finanziamento relativo agli anni 2013 e 2014. Così, per risolvere il pasticcio sul ddl Boccadutri è intervenuto l’emendamento in commissione della relatrice Teresa Piccione (Pd), il base al quale per quei due anni i partiti riceveranno comunque il finanziamento nonostante non sia stato effettuato un controllo sulle spese effettuate dai partiti.

La disposizione di cui al secondo periodo si applica a decorrere dalla data di entrata in vigore della citata legge n. 13 del 2014.

Recita infatti il comma due:

2. Le modalità per l’effettuazione della verifica di conformità previste dall’articolo 9, comma 5, primo periodo, della legge 6 luglio 2012, n. 96, si applicano con riferimento ai rendiconti dei partiti politici relativi agli esercizi successivi al 2014

Per il solo esercizio 2013 quindi, in base all’emendamento, la relazione della Commissione (che avrebbe dovuto essere approvata entro il 30 giugno 2015) dovrà essere resa entro 30 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento. Un mese di tempo. Solo quello. Come prevedibile la discussione in Commissione del ddl Boccadutri è stata molto accesa. I 5 stelle sono contrari al provvedimento e oggi promettono una dura lotta in aula (con Beppe Grillo in queste ore presente a Roma).

FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI: LA CASSA INTEGRAZIONE PER GLI EX PDL

– Partiti a secco, dipendenti a rischio. Il ddl Boccadutri è stato proposto come soluzione al problema e (5 stelle a parte) ha messo d’accordo tutti. Forza Italia per esempio ha votato a favore: perché il testo prevede la cassa integrazione retroattiva al febbraio 2014 anche per gli ex dipendenti del Pdl (comma 4 nda). Un aspetto che Letta non prevedeva, dato che nel decreto la cig era limitata ai partiti con determinati requisiti. Forza Italia, nata nel novembre del 2013, li possedeva. Il Pdl no. A piazza San Lorenzo in Lucina i dipendenti del Pdl, non riassunti da Forza Italia, non hanno goduto di alcun ammortizzatore e sono rimasti senza stipendio da mesi. Rumors di palazzo riferiscono di uno scambio lettere tra i grillini e la presidenza della Camera avvenuto nelle scorse settimane. Prima dello scontro in aula i 5 stelle hanno sollevato l’inammissibilità di alcuni commi. La risposta? Tutto regolare. Il lavoro del maxiemendamento infatti «punta a sgravare» il lavoro della Commissione che si è trovata, senza dotazioni e tempi tecnici necessari, a dover certificare come invece il buon governo Letta pretendeva. Il rigore sui bilanci quindi ci sarà. A partire però dal 2014. Non proprio la rivoluzione promessa.

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