«Uscire dall’euro? No, vi spiego il mio Piano B…»

19/02/2014 di Guido Iodice

Stefano Fassina, ex viceministro PD all’Economia, ha parlato spesso di un «Piano B» per l’Italia in Europa in questi ultimi mesi che l’hanno visto lasciare il governo in polemica con il segretario del suo partito. A colloquio con Giornalettismo ci parla del suo convegno Titanic Europa in cui ha convocato economisti e politici per delineare un futuro sostenibile per il Vecchio Continente in crisi.

Il 22 febbraio ha convocato a Roma numerosi economisti e politici per un convegno dal titolo inquietante: “Titanic Europa”. Perché ritiene che l’Unione Europea stia navigando verso il disastro?

Il titolo ha un punto interrogativo alla fine: “Titanic Europa?”. Navighiamo verso l’iceberg, ma forse siamo ancora in tempo per invertire la rotta. Forse.

Eppure il “whatever it takes” di Draghi sembra aver funzionato, riducendo significativamente gli spread. Cosa potrebbe accadere di così grave da rimettere in discussione l’unione monetaria?

Le parole di Mario Draghi e le misure di politica monetaria adottate dalla Bce, nonostante il conflitto con la Bundesbank, tengono sotto controllo gli spread. È condizione necessaria ma assolutamente non sufficiente per rianimare l’economia reale, il lavoro e le imprese, il potere d’acquisto delle famiglie e ridurre il debito pubblco. Il problema fondamentale è la rotta mercantilistica dell’euro-zona, ossia l’illusione di poter generalizzare la via tedesca e poter portare tutti i paesi dell’euro-zona alla crescita attraverso le esportazioni. È impossibile. Continuare a cercare competitività con l’austerità cieca, la svalutazione del lavoro e le mitiche riforme strutturali vuol dire rendere ancora meno sostenibile il debito pubblico. È ridicola l’insistenza sull’austerità per evitare l’aumento del debito, quando a causa dell’austerità, il debito è aumentato di 30 punti percentuali di Pil negli ultimi 5 anni nell’euro-zona.

Rai1 - Matteo Renzi ospite a "Porta a Porta"

Lei ha parlato di “Piano B”. Ce ne può delineare i contorni?

Il Piano B parte dall’analisi che ho appena ricordato: l’insostenibilità per l’economia reale, la finanza pubblica e la democrazia della rotta mercantilista. Il Piano A è l’inversione di rotta perché i problemi nell’euro-zona sono sistemici, di tutti, non di qualche paese periferico indisciplinato. Quindi, nel breve periodo: una politica monetaria più aggressiva; cambio di segno nella politica di bilancio per un allentamento nella periferia e un decisa espansione nei paesi del centro, anche mediante una golden rule nei bilanci nazionali per finanziare investimenti produttivi validati dalla Commissione; avvio di investimenti europei, definiti in una strategia green di politica industriale, finanziati mediante euro-project bonds e imposta europea sulle transazioni finanziare speculative; introduzione, lungo i confini dell’Unione, di standard ambientali e sociali per lo scambio di merci e servizi e controlli ai movimenti di capitali; inversione della autolesionistica politica anti-trust della Commissione; revisione dell’inadeguata soluzione sulla banking union e della minimale proposta di regolazione del sistema bancario europeo; rafforzamento dell’offensiva contro i paradisi fiscali intra e extra Ue; infine, punto decisivo, ristrutturazione dei debiti sovrani insostenibili (interessante e da approfondire la proposta di Tsipras di una conferenza ad hoc come nel dopoguerra: non soltanto per la Grecia, ma per ampio un insieme di Paesi). Per il medio periodo, sono necessari aggiustamenti istituzionali di grande portata: per la legittimazione democratica delle istituzioni comunitarie e per l’efficacia delle istituzioni economiche (Bce in primis). Il Piano B è la permanenza nell’euro-zona e la rinegoziazione degli obiettivi di finanza pubblica, sia sul versante del deficit che su versante del debito. Non si tratta di battere i pugni sul tavolo. Si tratta di prendere atto che altrimenti la rottura avviene in modo caotico, cavalcata dalle forze populiste e regressive.

Crede quindi che sia possibile salvare l’economia italiana senza uscire dall’euro?

Sì. Dobbiamo insistere per affermare il Piano A. Ma contestualmente preparare e attuare il Piano B. L’Italia come tanti altri partner nell’euro-zona è allo stremo. È infondato sostenere che siamo sulla strada giusta e si intravede la luce in fondo al tunnel. Purtroppo, non è così. Non vi di fronte a noi una ripresa minimamente adeguata a ridurre la disoccupazione.

PD, assemblea nazionale

Eppure il 22 saranno presenti anche economisti che ritengono giunto il momento di prendere atto dell’impossibilità di riformare l’eurozona e della necessità di avere un piano di uscita dalla moneta unica.

Sì. Abbiamo voluto costruire un momento di confronto aperto a tutte le principali voci in campo. Anche a quelle che non condividiamo, ma che sono parte rilevante del discorso pubblico. Non abbiamo paura del confronto. La nostra linea è chiara. Siamo nel Pse, sosteniamo la candidatura di Martin Shultz, ma combattiamo da dentro per riposizionare in termini culturali, politici e programmatici i socialisti e democratici europei.

I governi Monti e Letta non hanno contrastato le politiche economiche sbagliate che lei ha sempre criticato. Pensa che Renzi possa segnare una svolta o sarà in continuità con l’austerità?

Noi, minoranza del Pd impegnata sulla piattaforma congressuale rappresentata da Gianni Cuperlo, siamo impegnati affinché sulla politica economica vi sia una netta discontinuità tra il governo Renzi e i governi precedenti. Una linea continuista, oltre a aggravare i problemi economici, sociali e democratici del Paese, renderebbe inspiegabile la brutale archiviazione del governo Letta.

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