Fassina e gli ex Pd: «Costruiamo una sinistra di governo». In autunno la costituente del nuovo soggetto

C’è un futuro, ne sono convinti Fassina, Civati e gli altri ex dissidenti dem, a sinistra del Pd. Di fronte a «un partito che ha ormai cambiato natura», c’è spazio per un nuovo soggetto politico che riparta dal lavoro. Da costruire presto, insieme a Sel e non solo, in vista delle amministrative del 2016, ma senza accelerazioni o fughe solitarie in avanti.

Fassina Cofferati

FASSINA RIUNISCE GLI EX DEM E PREPARA LE BASI PER UN NUOVO SOGGETTO A SINISTRA DEL PD –

Parte dal teatro romano Palladium a Garbatella la prima tappa della costituente da lanciare in autunno, per tentare di riunire un universo in piena diaspora. Che non sia soltanto un contenitore o un nuovo “parcheggio” per chi, come Civati, l’ex leader della Cgil Sergio Cofferati o l’ex candidato alle Regionali liguri Luca Pastorino, ha abbandonato il Nazareno a trazione renziana. Ma che abbia l’ambizione di una sinistra di governo. Di stampo europeista, ma non subalterna – come viene contestato alle socialdemocrazie mediterranee, socialisti e democratici europei – all’Europa del rigore e dell’austerity, forgiata dalla Germania e da Angela Merkel. Una sinistra aperta a tutti, senza escludere la Coalizione Sociale di Maurizio Landini (che più volte ha però smentito di volersi trasformare in partito, ndr).

Lo ha ripetuto in modo chiaro l’ex viceministro per l’Economia, l’ultimo dei big fuoriusciti in casa dem, dopo lo strappo sulla riforma della scuola. Nella riunione degli ex ribelli (e non solo) c’è un mondo deluso dal renzismo, bollato ormai come un universo in piena deriva neocentrista. «Tra il gruppo dirigente del Pd e il popolo democratico abbiamo scelto quest’ultimo», ha rivendicato Fassina, provando a delineare i contenuti politici della sua proposta. Il Pd? «Ormai è il partito dei più forti e della tutela dell’ordine teutonico in Europa». Serve «rispetto», ha spiegato Fassina, per chi ha deciso di restare all’interno di quel partito o sta riflettendo su cosa fare, a dir poco tormentato. Non soltanto il bersaniano irriducibile Alfredo D’Attorre, presente in sala. Altri in futuro potrebbero seguire lo stesso percorso di chi ha deciso di uscire. Dai senatori critici come Tocci, Mineo, Ruta che non hanno votato l’ultima fiducia al governo. O l’area degli ex civatiani che hanno lanciato la corrente Retedem, preferendo – almeno per ora – dare battaglia nel partito: dalla prodiana Sandra Zampa a Giuseppe Guerini, fino a Paolo Gandolfi, la senatrice Lucrezia Ricchiuti e Michela Marzano.

Eppure, non è mancato chi tra gli interventi ha accusato con sarcasmo l’eterno attendismo della minoranza Pd e dell’ala bersaniana: «Ogni annuncio di lotta si risolve in una resa immediata e senza condizioni, in una ritirata silenziosa», ha provocato il filosofo Michele Prospero. Tra i più critici contro il renzismo, bollato come mix tra l’agenda Monti e l’intrattenimento, in grado soltanto di favorire i populismi di destra.

Ma ormai si guarda oltre, al cantiere della nuova sinistra. Per Fassina, però, non è stato (soltanto) Renzi la causa della sua uscita dal Nazareno. Il problema sono i nodi irrisolti dello stesso Partito democratico: «Non è un usurpatore del Pd, è l’interprete estremo e più abile della subalternità culturale della sinistra italiana, già contenuta nell’ideologia liberista del Lingotto. La carta di identità del Pd era quella, anche se timidamente contraddetta dalla segreteria di minoranza di Pierluigi Bersani». Tradotto, per Fassina il Pd ha sbagliato fin dalle sue fondamenta, già ai tempi del lancio della nuova creatura con Veltroni segretario.

FASSINA: «EVITIAMO LA SINDROME DI GAMBARDELLA» –

Nella kermesse con la quale l’ex parte della sinistra Pd tenta di gettare le basi del suo futuro, Fassina ha rivendicato il “4 luglio” degli ex ribelli: «Celebriamo oggi l’indipendenza dalla sinistra rassegnata». Ma ha citato la sindrome di Jep Gambardella, protagonista de “La grande bellezza” di Sorrentino, per sottolineare quello che dovrà essere evitato: «La proposta è uscire da qui senza costruire contenitori. Avviamo invece un cammino nei territori, coinvolgiamo chi non ha votato. A loro mi rivolgo, venite da protagonisti». L’impressione, però, è che Fassina sia più convinto rispetto ad altri – come Civati che ha lanciato Possibile o l’ex sindacalista Cofferati – sulla forma partito. Perché, nonostante tutti siano consapevoli che l’approdo finale sarà il lancio di un nuovo soggetto, c’è chi prende tempo o preferisce guardare oltre le vecchie forme:  «Non dobbiamo parlare di partito. Non si può pensare, come è capitato in passato con esiti negativi, di mettere insieme l’esistente», spiega Cofferati. Per poi aggiungere: «Il nostro contenitore deve contenere soprattutto quello che non c’è». Non è l’unico. «La prima tappa è fare un movimento che mobiliti le persone, che abbia un profilo di governo e che scelga di organizzarsi in modo inedito», fa eco Civati. Tradotto, serve una novità per sfidare Renzi e la sua proposta. 

Non è un caso che anche Fassina eviti passi troppo rapidi, per evitare il rischio di dividere un’area già troppo frammentata: «Non servono fughe in avanti solitarie». Ma la prospettiva a medio-lungo non viene certo negata: «Siamo qui per fare un partito politico, chiamiamo le cose con il loro nome». Per poi lanciare una proposta comune, già evocata in passato da Civati: «Raccogliamo le forze per una campagna referendaria, anzitutto sulla legge per la scuola». Ovvero, il disegno di legge già approvato in Senato e in arrivo alla Camera per la tappa definitiva, nonostante le contestazioni del mondo dell’istruzione e dei docenti precari. «Possiamo raggiungere l’isola che non c’è, senza dirigismi fuori tempo massimo e senza ordini di servizio dall’alto», ha continuato Fassina, citando pure Bennato.  Da Sel, intanto, sono pronti a sciogliersi: «Siamo disponibili a metterci in discussione fino in fondo. Bisogna mettersi in discussione tutti». E pure Ferrero, di Rifondazione comunista, azzarda: «C‘è l’occasione per costruire anche in Italia un soggetto politico come Syriza». Si aspetta soltanto il primo passo reale, in autunno, dopo l'”incubazione” estiva.

L’ICONA TSIPRAS E L’EUROPA DA CAMBIARE –

Al Palladium, è logico, sono però la questione greca e il referendum imminente sulle proposte dei creditori, il tema primario a essere evocato. Tsipras ha l’appoggio dell’universo degli ex Pd: «L’obiettivo del memorandum proposto ad Atene è soltanto quello di eliminare un governo scomodo, l’unico governo che ha osato alzare la testa per difendere il suo popolo, innanzitutto le fasce sociali più in difficoltà», ha rilanciato Fassina. Allo stesso modo, vengono allontanati scenari o richiami anti-europeisti: «Mai mettere in discussione il valore dell’Europa, ma servono regole diverse da quelle attuali. Non basta dire che bisogna abbattere il rigore. Serve una politica di crescita e sviluppo, ma bisogna cambiare le regole di ingaggio», sottolinea Cofferati. Non è un caso che l’ex sindacalista contesti quanto chiesto dai creditori e la stessa governance attuale delle istituzioni comunitarie: «L’Ue attuale vuole dimostrare che c’è solo una ricetta: quella indicata dai Conservatori. Ma i progressisti europei sono in grande ritardo e hanno sbagliato a non sostenere Tsipras. Dobbiamo proporre un nuovo trattato per l’Europa, che porti i Paesi a cedere realmente sovranità, perché oggi in realtà non è così». La convergenza con Syriza è chiara. Non è un caso che sia presente anche Nikolaos Arghiropoulos, portavoce del partito ellenico in Italia, che invita a raccogliere la sinistra dispersa con i contenuti: «Dovete convincere anche gli altri che c’e’ un’altra sinistra, un’altra proposta diversa anche da quella di Grillo». Con tanto di provocazioni alla nuova Unità, che si è schierata – come S&D al Parlamento Ue – contro Tsipras: «Non voglio sprecare i miei pochi euro per un giornale che porta il nome di Gramsci e che appoggia la Merkel».

La certezza, unica, per un mondo che tenta la ricostruzione è che dentro il Pd ormai non ci sia più spazio, né margine di manovra: «Quando le diversità non vengono rispettate il problema è posto. E andando oltre si rischia di perdere credibilità. Lo dico a chi vuole fare una battaglia interna al Pd: c’è un punto di rottura che va evitato», è chiaro Cofferati. Tradotto, indietro non si torna. Ora, non resta che partire alla ricerca di un consenso sparito o quasi. E di un’identità e un’unita perduta.

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