Fai bei sogni, il film in cui Bellocchio fa il Gramellini e ci va di mezzo Mastandrea – RECENSIONE

FAI BEI SOGNI BELLOCCHIO GRAMELLINI –

A volte, forse, certe scelte non andrebbero fatte. Come quella, sia pur suggestiva, di un Marco Bellocchio che vuole adattare Massimo Gramellini ad esempio, per la fascinazione che l’uno prova per la vicenda dell’altro, sia pur nella grammatica radicalmente differente. Fai bei sogni è la cosa più bella scritta da Massimo Gramellini ma ne è, in qualche modo, anche il monumento ai limiti di una scrittura che fa del ri(s)catto morale la sua cifra, in quell’impasto di buon senso socialmente accettabile e (pre)giudizio, innestato da un’emotività e da un’arguzia che a volte prendono la mano al lettore e altre allo scrittore e non di rado sono sopravvalutate da entrambi. Marco Bellocchio è il suo opposto: alla banalità del bene o di ciò che dovrebbe essere, preferisce I pugni in tasca, Il diavolo in corpo, esplorare l’ignoto nel noto (e non il contrario), vivere impietosamente l’assenza invece che rimpiangerla compiaciuto. Insomma, Fai bei sogni forse poteva diventare un bel film, ma in mano ad un altro regista. Così si sente il dolore dell’incompiutezza, la sensazione che quella vibrante emotività che si percepisce in questo lungometraggio, l’inquietudine e il sottotesto sentimentale, non emergano mai realmente. Ingabbiati da un eccessivo rispetto per il testo del giornalista.

FAI BEI SOGNI LA TRAMA –

Massimo è un bambino forse malinconico ma comunque felice. Adora sua mamma, Barbara Ronchi (che dipinto che è il suo personaggio, che brava), ha un papà severo e distante, vive a due passi dal Filadelfia, tempio del calcio e dei sogni granata. E’ amato, con la tipica discrezione piemontese, se non fosse per quella Supernova di madre che, scoprirà dopo, continuava a brillare potente e accecante anche quand’era già spenta. Il dolore più insopportabile e inspiegabile – letteralmente – colpirà la vita di quel bambino che seguiremo con (troppa) diligenza nella sua vita, dalla metà degli anni ’60 alla chiusura del millennio, nella biografia di un’assenza, nell’indagine su un mistero evidente a tutti. La storia di Massimo è costellata dalla mancanza di comprensione per un evento tanto semplice quanto impossibile da accettare.

FAI BEI SOGNI CAST –

A interpretare Massimo è Valerio Mastandrea, capace di dare anima e spessore a un personaggio bidimensionale: Bellocchio gli toglie il facile colpo di scena e i vezzi gramellinici, gli lascia l’inquietudine, la disperazione avara e quasi incestuosa dell’uomo maturato dentro un amore assoluto e interrotto, puntellato da una nostalgia sensuale, dall’ombra del tradimento, dalla sorda rabbia del sedotto e abbandonato. Quando il gioco si fa duro, il protagonista gioca e riesca a mostrare talento, quando il personaggio si rifugia nella banalità della storia originale, nel racconto didascalico e in quel trucco (e soprattutto parrucco, che il “capolavoro” però lo fa con Guido Caprino invecchiato) che fa rimpiangere le ultime scene de La meglio gioventù per l’approssimazione e la non credibilità, allora soccombe. Funzionale e poco più Berenice Bejo, che rimane una figurina, bellissima ma fredda, piace molto il seppur sacrificato il Caprino camaleontico – è uno dei migliori attori italiani, ma forse neanche lui lo sa – che in ogni ruolo si reinventa, con una tendenza a cercare caratteri ruvidi da lavorare con il cesello. Di Barbara Ronchi, che tiene sulle spalle il film con poche pose che ne mitizzano il ricordo anche nello spettatore, abbiamo già detto.

FAI BEI SOGNI GRAMELLINI –

La comunicazione gramelliniana, andrebbe studiata: prendere la posta del cuore, l’Alberonismo, spruzzarci un po’ de La Stanza del Corsera e chiuderlo con il Controcorrente montanelliano e farne l’editoriale più seguito del giornalismo italiano, cartaceo e web, pur assomigliando decisamente più alle prime due che alle ultime, può dirci molto di chi siamo.
Se nell’ultimo Controcorrente a La Stampa Montanelli, sfottendo con ammirazione i piemontesi scriveva “Avete ragione, ma è proprio questo il vostro torto”, l’autore del Buongiorno ci dice quasi sempre, “Avete torto e io ho sempre ragione, o almeno ve la intorto in modo che lo pensiate”. Il libro ha un suo fascino e una sua potenza perché non si nasconde dietro quelle due colonnine ma ci conduce nell’universo di un autore che deve la sua centralità all’essersi posto come fulcro del suo e del nostro universo, nel non aver paura dell’ovvio e, anzi, di raccontarcelo e svelarcelo. La Stampa, Fazio, l’editoria hanno alimentato il gramellinismo, divenuto centrale nella nostra cultura allo stesso modo in cui ci è riuscito, pur se meno glorificato e compreso, Max Pezzali.

FAI BEI SOGNI RECENSIONE –

Cosa ne esce, dunque, da Fai bei sogni? L’impressione di una grande occasione mancata. Marco Bellocchio avrebbe dovuto distruggere e ricostruire il libro, nel suo adattamento, con lo stesso cinismo di Kubrick con Shining. Ciò che cattura del lungometraggio, infatti, fa parte della poetica del cineasta che qui, peraltro, in modo interessante, cerca anche di cercare una centralità emotiva e creativa diversa rispetto a quella a cui ci ha abituato. E’ quel sottotesto dolcemente incestuoso di quel figlio disperatamente innamorato di una madre drammaticamente perfetta e piegata dal peso della vita (e della morte), temi profondamente bellocchiani nella loro potenza lacerante, è la figura di Barbara Ronchi, i suoi balli disperati e la “presenza” ad essere più efficaci dell’assenza che ci impone nell’apatia di quel Massimo che trova in Mastandrea un personaggio troppo ingombrante che, per quanto cerchi di lavorare in sottrazione, ha troppo carisma naturale per quell’uomo ambizioso e un po’ musiliano, senza troppe qualità se non quella di conoscere i suoi limiti e di non averne paura (bella e forte la scena in Bosnia della foto al bambino appena diventato orfano). Ma è la struttura del film a essere fragile, con la cronologia piatta e quei momenti di svolta – lo scoop, il salto di carriera – che hanno lo stanco incedere di un racconto distratto. Bellocchio non innerva Fai bei sogni della sua inquietudine, spruzzata qui e là, e anche registicamente sembra timido, quasi intimorito da quel best-seller che non osa intaccare. Ci mostra spesso come potrebbe essere, se lui prendesse le redini, ma poi riprende ad assecondare le parole scritte, a seguirle. E sorprende: perché Vincere era un capolavoro, Bella Addormentata pur se lasciava intravedere difetti simili almeno in un episodio sapeva decollare, Sangue del mio sangue rappresentava un esercizio di libertà artistica e di visione in totale contrasto con la pista recintata di Fai bei sogni. Eppure, come per il libro, ci sono delle briciole che valgono il pasto.

FAI BEI SOGNI TRAILER –

Il film, uscito il 10 novembre, in sala sta facendo buoni risultati. Ecco il trailer.

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