Fabrizio Corona, perché lo odiano tutti

11/10/2016 di Boris Sollazzo

Lo ammetto, ho riso parecchio oggi quando ho letto lo status di Nina Moric. “Ciao Fabri, insegna agli angeli a pagare l’Iva quando cazzo c’hai voglia”.

Poi ho smesso. Perché ridevo? Perché il social media manager della bella modella croata – che in fondo conosciamo proprio per la love story col fotografo – ha ritenuto che quella battuta potesse avere sicuro successo? Mille mi piace, 1.100 condivisioni, poche critiche. Eppure il suo pulpito non è che fosse il più adatto per la predica.

E allora perché? Perché noi Fabrizio Corona lo odiamo.

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Lo odiamo sì, perché l’italiano medio ha sempre covato il desiderio di essere come lui. Ecco perché il nostro pur frequentando una comunità in libertà condizionata è riuscito a tirar su 1.700.000 euro in nero. Perché lo odiamo, ma non possiamo fare a meno di parlare di lui, di vedere che fine ha fatto, di capire dove può arrivare, di spiare i suoi amori. E sì, di andare alle sue serate, perché qualcuno quei soldi li ha tirati fuori, di certo non gliel’hanno regalati.

Fabrizio Corona. L’aveva capito il regista Erik Gandini in Videocracy quanto la sua parabola fosse illuminante per guardare nell’oscurità in cui era piombata l’Italia. In quel film c’era un’immagine iconografica: Corona nudo, allo specchio, che analizzava con lucidità il “fenomeno” che rappresentava solo esistendo. Una sorta di berlusconismo avariato in cui alla dittatura dell’apparenza e del denaro si associava la demolizione dei valori di Re Silvio, la rottura del velo di ipocrisia di un paese cinico e baro che però, per bigottismo e moralismo, ha sempre puntato il dito contro il cattivo “perché – come cantava De André – si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio, si sa che la gente dà buoni consigli se non può dare cattivo esempio”. 

Fabrizio Corona è il male senza senso di colpa, è l’italiano puttaniere, furbo, imbroglione, gradasso e carismatico che non ha intenzione di rispettare le regole. Che, citando sempre il buon Fabrizio, non può che far andare su tutte le furie “le cagnette a cui ha rubato l’osso”.

Le cagnette sono quegli italiani che lo ammiravano – tanti, troppi – per le donne bellissime, per le multe in autostrada, per le foto in cui consumava amplessi in barca. Che lo invidiavano per i soldi, che avrebbero voluto quei tatuaggi, quello sguardo feroce e onnivoro, la voglia di spaccare il mondo. Quegli italiani che non rispettano le regole perché vogliono il successo o anche il posto migliore nel garage condominiale. E lui è quello che, furbo tra i furbi, ce l’aveva fatta.

Per questo lo odiamo. Per questo io ho riso, e anche voi. Perché viviamo in un mondo in cui i reati di cui lui si è macchiato ad altri, più potenti o meno esposti, non sono valsi gli stessi strali e, tanto meno, una tale quantità di arresti, processi e anni di galera. Perché a uno come lui perdoni i peccati, non certo i successi. Soprattutto senza protezioni.

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Perché esultiamo per la sua (giusta) incarcerazione e non ci indigniamo per il sistema che gli ha permesso di diventare Fabrizio Corona? Per la tv cannibale che ne ha fatto un idolo, un simbolo, un simulacro e infine un involucro vuoto. Per i Signorini che a quanto pare lo conosceva bene e che secondo un’inchiesta di Frank Di Maio non era proprio estraneo a certi automatismi che aveva messo in piedi l’agenzia del nostro. Per l’industria del divertimento che lo ha corteggiato e usato. Forse, dovremmo chiederci, perché odiamo lui, godiamo della polvere in cui piomba ogni volta il paparazzo che puntava a non pubblicare le sue foto (perché i vip fotografati, in verità, avevano da nascondere quanto lui), perché rendeva di più il ricatto che lo scatto.

Amiamo il capro espiatorio, soprattutto quando fa di tutto per rassicurarci. Quando evade, gioca con i soldi falsi, posta “Quelli che ben pensano” prima dell’ultimo rientro in carcere (ha ragione Frankie Hi Nrg Mc a prendersela, ma in un senso perverso il nostro porta a galla le stesse contraddizioni che faceva emergere quella canzone geniale). Quando ruggisce la sua rabbia in un dibattito catodico, quando sragiona.

Gaber diceva: “non ho paura di Berlusconi in sé. Ho paura di Berlusconi in me”. E noi non odiamo Corona in sé. Odiamo il Corona che è in noi, la voglia di un paese abituato a pasteggiare sul corpo dei più deboli. Che dalla caduta di quelli che ha fatto diventare semidei riceve la consolazione del suo essere stata pavida. Perché loro sono tranquilli, nei loro salotti, continuando a scaricare fatture false scambiate con un imprenditore amico, senza controsoffitti pieni di euro. Loro magari hanno i Panama Papers o un Madoff dei Parioli. E se li scoprite, se li scopriamo, l’indignazione e la risata lasciano il posto a una composta curiosità. D’altronde, quei distinti intellettuali non son mica come quei supercafoni di Fabrizio, Stefano, Valter, Giampy. Loro davvero ci mettono davanti al nostro squallore. Al fatto che a ogni angolo trovate un furbetto del quartierino, uno che ti ricatta per qualche spiccio, che muove interessi, soldi e conoscenze per conti terzi, che procura le donne ai potenti.

Questa è l’Italia, bellezza.

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